venerdì 6 dicembre 2013

"Io non appartengo più" Roberto Vecchioni




“E si portano dietro quel giorno
sfiorato di prime tremanti parole,
come amore alla faccia del mondo,
come l’unica via per non essere sole
come il sole all’ inferno,
come un fiore d’inverno
e l’inizio di un sogno …” -Due Madri-
Roberto Vecchioni è tornato a farci sognare. L’8 ottobre è uscito il suo ultimo album: “Io non appartengo più”. La vera rivoluzione di questo disco, per me, è tutta nella canzone "Due madri".
Si, perché Vecchioni che  racconta  poeti, combattenti e grandi donne, lo conosciamo già. Così come sappiamo che, lungo i suoi anni, ha cantato canzoni per i figli, per l’amata Daria, per gli amici. Anche a Dio ha urlato parole e preghiere. Ora, in questa ballata dolcissima, ci ritroviamo,  per la prima volta, di fronte ad un Vecchioni  nonno che canta alle nipotine. Nina e Cloe, le figlie di Francesca  Vecchioni e della sua compagna Alessandra. Lui prova a spiegare alle bambine la loro eccezionale condizione di avere due madri. E, se da una parte lo fa con la sua solita incantevole poesia, dall’altra almanacca sulla perdita dei sogni. Si affida a queste bambine “baciate all’ultimo confine”, come dirà in un’altra canzone. Son loro che devono prenderlo per mano ora. Indicargli la strada da percorrere. A lui, uomo di settant’anni, che ha già camminato tanto, non importa dove lo condurranno. Vuole solo stare con loro. Per me “Due Madri” è l’ autentico testamento amoroso di un nonno che vuole mettere in guardia, proteggere, se fosse possibile,  le sue nipotine dai “ tanti  tamburi di latta del mondo normale”. Dice delle cose, altre appena le accenna. Come se questo testo debba essere recepito in due tempi. Una parte è per Nina e Cloe piccole, un’altra attenderà che crescano. Ci sarà un altro tempo per capire bene cosa voleva dire quel nonno “un po’ anormale”.
Roberto è un Uomo. Uno che ci ha messo sempre la faccia nelle cose che ha fatto. Che si è preso la responsabilità delle sue parole, pure quando erano forti, scomode. Anche questa volta, racconta le sue emozioni. Avrebbe potuto lasciare nell’intimità della sua famiglia questa vicenda delicata e bellissima. E invece no. Lui, come sempre ha fatto, racconta di sé, di ciò che accade nella sua vita. Non può rimanere in silenzio di fronte alla gioia che queste bambine gli hanno portato, “alla faccia del mondo”.
Incontro il Professore lunedì 14 ottobre, alla libreria Feltrinelli  di Piazza dei Martiri a Napoli. E’ qui per presentare il disco “Io non appartengo più”. Disco che sto bevendo a grandi sorsate da una settimana, ma la mia sete non passa. Neanche un po’. Mi sveglio felice, quando so che quello appena iniziato è un giorno in cui lo incontrerò. Perché, il Professore, io lo incontro spesso. Fa bene al cuore mio sentirlo cantare live. E parlare. Mi ha insegnato tante cose in questi anni!Lo ho visto l’ultima volta a luglio. Un concerto a Montemiletto, Irpinia.  Si, ma a me non basta godere della sua musica e delle sue parole dal palco. Io, ogni volta, cerco di parlargli prima o dopo il concerto. Ho sempre per lui qualche lettera d’amore, qualcosa da chiedergli, una foto “col sorriso deficiente” da aggiungere alle altre che abbiamo già fatto in questi otto anni, in cui lui è entrato nella mia vita, per non uscirne più.
Oggi, poi, sono più emozionata del solito perché ci sono queste canzoni nuove che mi riempiono la testa. E, fra un po’, potrò sentire proprio dalla sua voce, cosa c’è dentro e dietro ad ognuno di questi nuovi brani. Io e mio marito Christian arriviamo che  la sala è già piena, ma succede che si liberano due posti proprio sotto i nostri occhi. Appena, però, mi rendo conto che da quella posizione non riesco a vedere la sua faccia, lascio perdere la sedia e mi vado ad infilare più avanti, per terra, lungo lo stretto corridoio che porta alla cattedra. E chissenefrega se in quella posizione ci son solo adolescenti invaghite. A dirigere l’incontro c’è il giornalista de “Il Mattino” Federico  Vacalebre, grande ammiratore  di Vecchioni. E’ felice di parlare di queste canzoni. Di questa “figlia” diventata madre. Dice che gli piacerebbe che oggi suo figlio, attraverso Roberto e la sua canzone “Ho conosciuto il dolore”, si avvicinasse a Montale. Come lui, tanti anni fa, per una sua canzone intitolata “A. R.” , ha scoperto Arthur Rimbaud. Qualcuno ha parlato di questo album come di un soliloquio davanti alla morte. –Invece c’è tanta gioia e tanta vita in queste canzoni-  afferma Roberto. E io, che l’album l’ho già ascoltato bene, son d’accordo con lui. Questi testi sono carichi di gioia, di serenità, di emozioni positive. Anche quando parla con Dio, con la Morte, io non ho avvertito sentimenti negativi. Nessun rimpianto, neanche un rimorso. Come se, dall’alto dei suoi anni e della sua storia, l’autore fosse in grado di un sguardo d’insieme sulla vita e sui fatti. Pure quando parla al Dolore, mi è arrivata consapevolezza più che rabbia. “Ho conosciuto il dolore ed ho avuto pietà di lui, della sua solitudine, delle sue dita da ragno, di essere condannato al suo mestiere, condannato al suo dolore … “.
Emblematica la copertina: Roberto è ancora un combattente, un boxeur, ma è solo al centro del ring. In poltrona, coi suoi libri. E lo sguardo interrogativo rivolto a Dio.
Ho scoperto questo meraviglioso cantautore un pomeriggio d’inverno di quasi otto anni fa. Era il 24 gennaio. Me lo ricordo bene, era il giorno del primo compleanno di mio figlio Lorenzo. E io stavo cucinando a più non posso per la grande festa che avremmo fatto quella sera a casa nostra. Christian mi aveva regalato il suo album “Il lanciatore di coltelli” . Infilai il cd nel lettore. Con un semplice, piccolo gesto, entrai dentro un mondo vibrante di emozioni. Di poesia. Di storie. Anche tristi, ma di una tristezza  deliziosa (Vedi –Gustav e Tadzio- ). Fino a quel momento io, di Vecchioni, conoscevo solo “Le lettere d’amore” . Canzone che ha avuto due grandi meriti nella mia vita: farmi conoscere Fernando Pessoa e ancora farmi capire che non ero sola e non ero ridicola con le mie lettere d’amore. Anzi, che avrei dovuto continuare a scriverle. E a proteggerle come il mio bene più prezioso. E’ ancora la mia canzone preferita. “ E scrivere d’amore, e scrivere d’amore anche se si fa ridere, anche quando la guardi, anche mentre la perdi quello che conta è scrivere; e non aver paura non aver mai paura di essere ridicoli; solo chi non ha scritto mai lettere d’amore, fa veramente ridere …”.
Il Professore è in gran forma. Dice che questa energia gliel’ha data proprio il nuovo disco. E, nonostante sia stato per almeno due mesi rinchiuso in sala registrazione, fra le sue carte, beh, quando ha terminato il suo lavoro, una felicità piena l’ha travolto. – Però ci ho rimesso sette, otto chili. E  per me sono tanti. Perché io, giusto quello peso!- Dice.
Si parte con “Esodo” e si conclude con “Io non appartengo più”.
E’ un concept album.
“Io sono là,
dove è sempre stato l’uomo,
viaggiatore vincente
del suo dolore,
nel teatro dove non recita,
ma vive le parole …
… sono nelle parole che
Non risolvono il giorno,
ma l’eternità …”
Ecco, il disco parte altissimo. Con la poesia e la musicalità antica delle parole greche (ritornello).  Vecchioni ci porta al momento in cui l’Edipo di Sofocle sta morendo. Dio lo sta chiamando a sé. Edipo è pronto, consapevole. Vecchioni si identifica in lui. Dopo cinquant’anni di canzoni e parole, si tira fuori da “questo inventario di suppellettili”. Oggi appartiene solo a se stesso. Alla sua famiglia. Agli amici. Alla poesia.
Gli uomini sono sempre al centro dei suoi madrigali. E pure quando la loro meschinità lo fa arrabbiare, pure quando gli grida contro, non sa smettere di amarli. Anzi, le donne più che gli uomini in senso lato. Vecchioni è un uomo che ama le donne. Che guarda a loro come essere straordinari. “Le mie ragazze”, che negli anni son diventate “Le mie donne”. Si, quelle che “Non hanno prezzo e non si vendono, si regalano per molto meno e molto più”. E son tante le canzoni dedicate alle donne. Sia quelle della sua vita, sia quelle famose come Alda Merini, Celia de la Serna, Rosa Luxemburg, Wislawa Szymborska premio Nobel per la letteratura nel 1996. Donne straordinarie e donne comuni. Tutte con la stessa grande capacità di amare. Di trovare bellezza anche dove gli uomini (questa volta in senso stretto), non riescono a vederla. “La bellezza (Gustav e Tadzio)”  che aveva cantato ispirandosi a “La morte a Venezia” di Thomas Mann. La bellezza a cui sembra rivolgersi anche nella canzone “Sei nel mio cuore” .
In ”Il Miracolo segreto” il riferimento al racconto di Borges (che ha lo stesso titolo) è manifesto. In questa canzone l’autore vorrebbe, nel momento preciso in cui la vita finisce, ricevere un dono da Dio: un anno di tempo. “…  per tornare ancora indietro, ritrovare le cose che ho lasciato chissà dove, dammi un anno di tempo per riscrivere parole … non ti chiedo di continuare a vivere e ad amare, non ti chiedo di stringere chi mi son visto andare, ma solamente il tempo per potere ricordare …” . Il Professore è spesso faccia a faccia con la morte. Forse c’entra “Il brigante nell’angolo, nascosto, vigliacco, battuto tumore” in questo continuo confrontarsi con la fine. D’altronde son voli che il nostro Roberto ha sempre fatto. Si pensi a “Viola d’inverno”. A “Mi porterò”. In “Così si va” la vita che scivola via conserva tutto il suo incanto. E’ miele e non vetro nella bocca di un uomo ancora innamorato ed emozionato. C’è la consapevolezza di aver avuto giorni pieni e meravigliosi. “Ci si innamora dell’amore e non si torna indietro mai, ci si innamora dell’amore il solo disperato vivere che hai, ci si innamora dell’amore cantando voci in un silenzio, dolce impigliato sentimento in questa mia felicità …”.
La canzone “Stelle” mi fa pensare subito ad un’altra sua canzone: la già citata “ Le lettere d’amore”. “Ma gli sfuggì che il senso delle stelle non è quello di un uomo e si rivide nella pena di quel brillare inutile, di quel brillar lontano …” . Come a ricordare, ancora una volta, che gli uomini devono mettere i sentimenti al centro della loro vita. E non perdersi in astrazioni e teoremi. E non dimenticare mai che, per quanto brillino, le stelle non scaldano. Sono gli abbracci, i corpi che danno calore.
“Come fai?” scritta a quattro mani col mio adorato Giuliano Sangiorgi, mi colpisce prima per la musica (di Lucio Fabbri)e poi per le parole. Le note sono soavi, farfalle che si posano sul viso. Ci si interroga sulla grandezza di Dio. “Come fai/A camminare il mio pensiero?/Come fai a essere in ogni parte di mondo che non ha terra/ e nemmeno cielo?... Essere sempre Amore?”.
 Sono partita con “Due madri” e termino con “Sui ricordi”.
Le mie due canzoni preferite in questo disco.
 –Non me ne volere Professore mio, se ho rivoluzionato la playlist, il concept.
 Il cerchio magico della tua vita si apre e si chiude (per me) dentro la tua famiglia-
“Ricorda quando ti ho perduto,
ricorda quando son caduto,
ricorda quando mi hai tenuto
appeso al mondo con un dito
Ricorda la teoria di stelle
Su e giù impazzite per la pelle
Quando ero nulla e mi sfioravi,
quando eri tanto e mi sognavi, mi sognavi”.
Eh si, Roberto vuole decidere proprio tutto della sua vita!
Vorrebbe che Daria, sua moglie, lo ricordasse per come è veramente. La tenerezza. Le idee. La forza e tutte le fragilità. Senza trasfigurarlo come faranno gli altri.  Senza idealizzarlo, dimenticando “tutte le manie di quel cialtrone che io sono, le indecifrabili ironie che non ho chiesto mai perdono … “ .
L’incontro sta per concludersi. Roberto ha ascoltato tutti con grande interesse. E’ luminoso, almeno quanto le sue stelle. Due sono gli interventi che mi hanno emozionano più di tutti: quello di Peppino che dice di essere qui oggi, ma non ha domande da fargli, perché nel tempo lui gli ha già dato tutte le risposte che cercava. Vuole solo abbracciarlo. Per tutta la vita ha ascoltato le sue parole, ora vuole sentire il calore del suo corpo. E poi c’è un ragazzo ventenne, biondo, con una maglietta con la faccia di Fabrizio De Andrè, che gli vuole far sapere che lui, il Professore, è molto amato anche dalla sua generazione. Anche se sono piccoli e lo conoscono da poco.
Io gli dico che scriverò di questo album. Gli chiedo se posso usare una foto che ci siamo fatti qualche anno prima, visto che oggi le foto non le farà, lui mi dice di sì.
- Si, se sono venuto bene in quella foto, non ci sono problemi!-
Anche stavolta ho qualcosa da dargli:  una canzone.
Con un incredibile atto di superbia mi sono messa nei panni di un artista che, per tutta la sua vita, ha trasfigurato gli uomini, reinventandone a volte il destino, come in Euridice. Con mio grande stupore, esce dall’ingresso principale della Feltrinelli. Mi passa accanto mentre cerco un libro. Quest’uomo col sigaro in bocca è candidato al Premio Nobel per la letteratura e non ci sono folle ad attenderlo mentre se ne va. Sarà che la poesia è veramente un bene per pochi.

 Questo racconto è stato pubblicato sul numero 48 di "Confidenze fra amiche".
Poi è stato condiviso sulla pagina ufficiale di Roberto Vecchioni. 
Con mia grande gioia!






lunedì 17 giugno 2013

Magia di Gallipoli. Salento nel cuore.

Da dove partire in mezzo a tanta bellezza?

Magari dagli occhi neri di quella ballerina di pizzica vista l’altra sera. Con che sguardo malizioso tratteneva a sé il suo compagno di ballo. Lui la circondava, la corteggiava, la sfiorava, ma non la toccava mai. Se non con gli occhi. L’unico contatto fra loro due era questo foulard rosso fuoco, che si passavano mentre ballavano. Lui la abbracciava nel foulard mentre lei volteggiava velocissima, ma ad ogni giro si soffermava negli occhi desiderosi di lui. Poi lei gli porta via il drappello, si schermisce dietro quel brandello di stoffa e fa la smorfiosa ancora un po’. Ecco: al diavolo la magra Gwyneth Paltrow e i suoi biondi capelli. Stasera, qui, in questo momento vorrei essere mora che più non si potrebbe. Vorrei avere le forme morbide della mia amica ballerina e i suoi occhi ammiccanti. Si, vorrei essere io questa amica salentina. Almeno per questa notte. E muovermi come sa fare lei, dentro la sua lunga gonna bianca che sapientemente ogni tanto tira su.
Io non arrivo qui dalla Finlandia, ma da un’altra regione del sud, eppure questa terra mi ha stregato subito. Mi piace. E più vedo le stesse facce ad ogni sagra, più mi piace l’idea che questa gente scenda ogni sera a ballare nelle piazze. E non conta l’età e non conta il fisico. Conta la voglia. Ho visto signore che avevano passato pure i 70 ballare e divertirsi come bambine. Magia di Gallipoli. Magia della Pizzica. Questa danza che echeggia tempi lontani di corteggiamento nei campi, quando la vita forse era più semplice. Questa antica semplicità il Salento non l’ha mai persa.
Ieri sera poi mi imbatto per caso (cioè mio marito aveva scaricato il programma da internet, per me ci siamo arrivati sospinti dal vento caldo del Salento, che sa di mare e di spaghetti con le vongole) in una Gallipoli da mangiare e da godere. C’era la serata conclusiva della manifestazione “Strade golose 2012”. Una vera manna piovuta da un cielo, che invece pioggia non ne cede da un bel po’. E che dire del fatto che siamo solo io e mio marito, due adulti liberi e consenzienti nel voler camminare a lungo senza fermarci mai? Senza i due adorati figli di cui il grande (Lorenzo), dopo tre passi cerca subito una panchina, e la piccola (Isabel Patrizia), che, dopo due minuti nel passeggino, vuole subito scendere e correre. Ma, visti i 18 mesi di vita che ha, si “scapizza” di lì a poco. Non mi sembra vero. E non mi sento in colpa nemmeno un po’ per averli lasciati alla nonna. Partiamo!
Cominciamo subito assaggiando i formaggi. Sublimi. Il pecorino di media stagionatura è quello che preferisco. Ma che gioia pure la ricotta nella pampanella (foglia) di fico! Passiamo all’olio. E dagli uliveti che si vedono in giro, va da sé che ne producono tanto. E quant’è buono sul pane! Taralucci al peperoncino, alle olive, alla cipolla. Pitta, pittule. Marmellate di ortaggi e scapece salentina di alici. Zuppa di cicerchia e gamberi. Puccia e pomodori secchi che qua davvero son messi ad essiccare al sole. E li ho visti coi miei occhi non solo nei campi, ma anche su tutti i balconi di Gallipoli.Passiamo ai dolci. Non passiamo invece per la wine-zone, perché fa caldo e già solo un mezzo bicchiere di Primitivo di Manduria, mi è andato tutto in testa. Per i dolci la scelta è ancora più vasta. Biscotti ai pistacchi, dolcetti all’anice, caffettini salentini, africani. La mandorla salentina è regina di questo banchetto. La si può acquistare anche fresca in tutte le frutterie. C’è un pasticciere dietro un banchetto che prepara i  confetti alla mandorla in una grande pentola di rame sospesa sul fuoco e, dall’alto, un piccolo contenitore magico rilascia miele durante la cottura. C’è un grande stand dei pasticcieri salentini, che hanno preparato una enorme torta da offrire ai golosi passanti. Che profumo nell’aria di pasticciotti in cottura … bè, non ci sono parole adeguate per raccontarlo. Non avevo un grande ricordi dei pasticciotti, mi  sono ricreduta volentieri. Questo che ho in bocca ora, é meraviglioso. Caldo. Mi ha lasciato l’odore di buono nelle mani. E se lo dico io che sono la regina della pasta frolla, vi potete fidare! –Ma la frolla è aromatizzata all’arancia?- Chiedo al pasticciere che li sta adagiando nelle formine per cuocerli. –Anche la crema signora!Tutte e due! - Sono sicura che a rendere così friabile questa frolla ci sia lo zampino della sugna. Ma non posso chiederlo al mio amico pasticciere, è già di spalle a infornare nuovi deliziosi pasticciotti.  Andando via non disdegniamo un altro maghetto col cappello lungo lungo che ci offre una mousse al cioccolato. Ancora gioia per la bocca. Portiamoci via qualcosa! Sicuramente dei pasticciotti per la colazione di domani e poi il Primitivo di Manduria, i tarallucci alla cipolla, il pecorino e i confetti alla mandorla. Impacchettatemi vi prego anche il vento caldo che soffia in questi vicoli. La mia ballerina di Pizzica, il mare, l’asta del pesce che si fa al porto al tramonto e pure i cocomerini che sono tanto più buoni dei cetrioli. Siamo stanchi dopo tre ore che camminiamo, ma anche sazi. E non solo nella pancia. E mentre qualcuno spiega alla sua platea le virtù del gambero viola di Gallipoli, ci avviamo al centro storico per salutare una vecchietta ad un balcone. Lo sapevo. E’ là anche stasera. E dove altrimenti poteva essere? Essere là è come essere già in paradiso. Affacciata a questo balcone. Su questo mare. La sua testolina grigia si confonde quasi fra i vasi dei fiori. Mio marito azzarda un pensiero poetico:”Pensa questa signora si è svegliata qui davanti a tutta questa bellezza per tutta la sua vita “. E io aggiungo: “Ci vuole fortuna pure per essere vecchi!E soli. Perchè in faccia a tanta bellezza, accanto a questa chiesetta dai profili azzurri, con tutte queste risate dei passanti che salgono al suo balcone, questa vecchia signora, non si sentirà mai tanto sola”.

Peccato che la mia macchinetta fotografica sia troppo basica per fermare questa immagine nel tempo. Allora mi giro un’ultima volta, qualche secondo in più, per trattenere nei miei occhi la mia vecchietta al suo balcone. Il vento caldo nei vicoli. L’asta del pesce al tramonto. Il mare del Salento. La mia amica ballerina. E tutte le cose buone che ho annusato e mangiato in questo posto. In mezzo alla magia di Gallipoli.