sabato 5 marzo 2022

 





Lucio Dalla, “Il profeta bambino”

di Giovanna Sica, articolo pubblicato su Confidenze, Stile Italia Edizioni, n.16 – 6 aprile 2021

 

 

Quando sei nato lo sa tutto il mondo: 4/3/1943 è il titolo della tua canzone forse più famosa, e io sono sempre stata tanto fiera di condividere con te il giorno del mio compleanno.

La prima volte che sali su un palco hai tre anni. A sette, sei già orfano di padre. Mamma Iole, modista bolognese, è una presenza forte e contraddittoria. La scuola non fa per te, sei troppo irrequieto. A 10 anni ti regalano il clarinetto, un lustro dopo sei già un jazzista. Ti esibisci nei locali e all’uscita ti metti a parlare con barboni e prostitute. Sei affamato di facce, non dormi mai. Nel 1960, con la Rheno Dixieland Band parteci al Primo Festival europeo del Jazz e lo vinci. Gino Paoli, conosciuto al Cantagiro 1963, intuisce il tuo genio e ti propone per Sanremo, tre anni dopo. Presenti una canzone originale Pafff…Bum ma troppo avanti per i tempi.

Brani e sentimento

Sei



al Festival anche l’anno successivo, con un testo che si rivelerà beffardo. Luigi Tenco si toglie la vita durante quella edizione; spudoratamente la gara continua e tu intoni Bisogna saper perdere. S’affaccia il ’68 col suo carico rivoluzionario; gli altri artisti prendono posizioni politiche, tu no. “Sono uno che canta come sente” dichiari. E sei anche un uomo di fede; Padre Pio, conosciuto da bambino giù in Puglia, è una figura di riferimento. È in questo periodo che incontri il giovane Rosalino Cellammare, che poi diventerà per tutti Ron. Prendi casa alle isole Tremiti e lì componi la musica per Gesubambino, su testo immaginifico di Paola Pallottino, illustratrice e poetessa. “Dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare/ Parlava un’altra lingua, però sapeva amare”. Partono le trattative con la Rai per portarlo a Sanremo: vengono censurati il titolo e due strofe. Con 4/3/1963 conquisti il terzo posto e il grande pubblico. Segue l’album Storie di casa mia in cui emerge il brano squassante, ancora di Paola, Il gigante e la bambina. Torni all’Ariston nel 1972 con Piazza Grande, un pezzo meraviglioso, ma guadagni solo l’ottavo posto. Hai trent’anni quando ti presentano il poeta Roberto Roversi. Lui scrive i versi per il disco Il giorno aveva cinque teste, tu le musiche. Canti i danni dello smog. Gli emigranti e gli operai che muoiono sul lavoro. Il disco vende pochissimo, ma tu ti sei sorpassato ancora una volta: ti importa scuotere le coscienze. Seguono altri due album con Roversi, Anidride solforosa e Automobili, una trilogia di grande valore artistico. Poi finisce l’intesa anche col poeta. Hai suonato il jazz, cantato brani scemi, popolari e impegnati. Hanno scritto per te parolieri (Bardotti e Baldazzi) e poeti. E adesso, che ti inventi, Lucio? È il momento di cantare le tue emozioni, le tue visioni.

Talento visionario

Riparti dallo scippo di tuo padre per arrivare alla violenza che esercitano i potenti sui deboli. “È inutile, non c’è più lavoro/ Non c’è più decoro/ Dio o chi per lui/ Sta cercando di dividerci/ Di farci del male /Di farci annegare”, Com’è profondo il mare, da cui prende il nome il tuo primo disco da cantautore, è l’anno 1977. Due anni dopo esce “Lucio Dalla” ed è un successo senza precedenti. “Si esce poco la sera, compreso quando è festa/ E c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra/ E si sta senza parlare per intere settimane/ E a quelli che hanno niente da dire del tempo ne rimane”, L’anno che verrà. 42 anni dopo fanno tremare queste tue strofe profetiche. Arriva il momento di un tour indimenticabile con Francesco De Gregori, Banana Republic. E poi l’estate dell’80; sei a Roma e vederla finalmente a festa, ubriaca di gente, ti fa mettere al pianoforte e tirare fuori: “Si muove la città/ Con le piazze e i giardini e la gente nei bar/ Galleggia e se ne va/ Anche senza corrente camminerà”. Prendi una serata come tante e la fai diventare La sera dei miracoli; in questa ballata visionaria Roma se la porta via il mare. Il terzo album tutto tuo, lo chiami semplicemente Dalla e dentro ci troviamo le tue canzoni più belle di sempre. Balla balla ballerino. Cara. Futura, scritta su una panchina su cui ti siedi a guardare il Muro di Berlino. Immagini due fidanzati divisi da quello sbarramento di cemento armato; non hanno paura del futuro, tanto è vero che fanno l’amore e pensano a un figlio, una femmina, a cui vogliono dare un nome che è una dichiarazione d’intenti. Sei consapevole di avere fantasia, talento e voglia di libertà. Viaggi organizzati esce nel 1984 con la tua casa discografica, la Pressing; è un album in cui si sente l’influenza della musica dance e della tua curiosità per il mondo telematico. L’anno dopo fai un disco a cui dai un titolo che la sa lunga: Bugie. Tu che da sempre infarcisci la vita di frottole, decidi, col candore di un bambino, di sbugiardarti. E poi succede che Catarro, la tua barca, va in avaria vicino a Sorrento e tu chiedi ospitalità al Grand Hotel Excelsior Vittoria. Vuoi vedere la suite di Caruso, e una volta lì dentro ci vuoi restare. A cena ti raccontano la leggenda del grande tenore che, anche se convalescente, ogni sera, al tramonto, si faceva portare il pianoforte in terrazza e riempiva l’aria con la sua voce magnifica, con il suo canto era per una donna di cui si era innamorato. Lo immagini struggersi e finire i suoi giorni onorando la vita, “Ma quando vide la luna uscire da una nuvola/ gli sembrò più dolce anche la morte”. Caruso è un successo mondiale.

Il 4 luglio del 1988 parte un tour magico con l’amico Morandi: l’elfo delle favole e il ragazzo senza età finalmente insieme. A settembre del 1990 esci con Cambio. Con Attenti al lupo ancora una volta spiazzi tutti, ma adesso lo fai con disinvoltura: non devi più dimostrare niente, puoi permetterti di giocare, e poi di colpo tornare serio, e così fai con Henna, l’album successivo. Hai intuizioni che assecondano i tuoi frenetici mutamenti di pelle, accade anche in Canzoni. Saluti il Novecento con Ciao e inauguri il nuovo millennio con uno show televisivo, in prima serata su Rai Uno, con Sabrina Ferilli, La bella e la Besthia, e un musical: Tosca: amore disperato. Sei avido di novità, di sorpassi. Sei sempre circondato da amici. Sei Domenico Sputo, il tuo alter ego che suona il sax nelle canzoni degli artisti scoperti da te, come Luca Carboni e Samuele Bersani. Sei un maghetto e forse non ti fermi mai perché lo senti che non avrai una vita lunga. Raggiungi il Cielo il primo marzo 2012. Ed è lì che mi piace immaginarti, a guardare da questa parte col solito lampo negli occhi e la tua perenne curiosità. Mentre ci dici, come hai scritto: “È da quello squarcio di cielo e di cuore che vi ascolterò anche quando nessuno mi vorrà ascoltare… É da lì in alto, fino a quando ci sarà una finestra, che il mio cuore continuerà a cantare la vita e la storia che la prende”.

 

 

domenica 13 febbraio 2022

Covid e altri impazzimenti

 


“Covid e altri impazzimenti” di Giovanna Sica

 

Il Covid mi ha raggiunto nello spazio stretto di un camerino in cui stavo misurando un paio di pantaloni. In una gamba avevo i pantaloni miei, nell’altra quelli nuovi. Ha squillato il cellulare. Due volte. Il cellulare era nella profondità oscura della borsa. Avevo le mani impegnate, la mascherina spiaccicata sulla faccia. Non riuscivo a trovarlo, ma quello non smetteva di suonare. “Sono positivo”. “…”. “Hai capito?”. “Arrivo”. “Signora, vuole vedere anche un cardigan da abbinare su questi pantaloni?” echeggia da lontano la voce della commessa. E come glielo spiego, adesso, a questa gentile signorina, che vorrei lasciarle qui pure i pantaloni che fino a due minuti fa mi piacevano tanto? “No, devo andare, mi faccia pagare, per favore”. Pago e dall’ansia che mi è salita faccio cascare l’aggeggio del bancomat. Mi scuso. Esco dal negozio e realizzo che mi illudevo che a noi non sarebbe successo, ché siamo stati sempre tanto attenti e rispettosi delle regole. Realizzo che ho paura perché il Covid fa paura, anche dopo due anni e i vaccini. Che beffa. Mio figlio aveva la terza dose dopodomani. Non l’aveva ancora fatta perché stavamo aspettando che passasse del tempo dalla seconda dose di vaccino contro il Papilloma virus, ché quando ho scoperto che si possono vaccinare anche i maschi contro il Papilloma (anche i maschi che per età il vaccino non glielo passa l’ASL, alla piccola -si fa per dire- cifra di 210 euro in tre comode rate), ho pensato che era giusto immunizzare contro il Papilloma anche il Diciassettenne. Raggiungo mio figlio, al netto del mal di schiena e un po’ di spossatezza, sta bene. Non ha febbre. Un pensiero cattivo mi fa subito un calcolo a mente che nessuno gli ho chiesto: son passati più di sei mesi dalla seconda dose, chissà se il ragazzo ha ancora gli anticorpi o è completamente indifeso contro Omicron. Sdrammatizzo col Positivo e ce ne andiamo subito a casa. Lui si va a barricare in camera sua, io provvedo a mettere da lavare i suoi panni e tutto ciò che ha toccato negli ultimi giorni. Scende una prima notte che mi scopre a guardare il soffitto. Non voglio abbandonarmi al sonno, ho paura che succeda qualcosa a mio figlio mentre io dormo. Il secondo giorno arriva il mal di gola. Informo il medico di base via Whatsapp che da questo momento inizia a seguirlo. Il terzo giorno sopraggiunge la tosse. La tosse mi fa paura, ma, ringraziando Dio e il vaccino, dura solo tre giorni. Il quarto giorno c’è un gran sole. Ne approfitto per pulire e disinfettare con più enfasi. Mi manca giusto scrostare i muri e poi posso dire di aver sanificato ogni angolo dell’appartamento. Il pomeriggio del quinto giorno porto a fare il tampone alla figlia undicenne che torna a scuola dopo 14 giorni di Dad, dovuti alla positività di due compagni di classe. Già che son qui, già che ho fatto la fila, quasi quasi un tampone lo faccio anch’io (lo avevamo fatto anche il giorno dopo che era risultato positivo il Diciassettenne, ormai viviamo sotto lo strozzo della farmacia) ché mi pizzica un po’ la gola; sicuramente dipende dal fatto che ieri sono stata tutta la mattinata al vento e al sole, e comunque nessuno mi obbliga: lo Stato ha decretato che io e mio marito, che abbiamo fatto anche la booster, dobbiamo solo praticare l’auto-sorveglianza e continuare a indossare la Ffp2. E se invece fossi positiva anch’io? Come faccio a mandare mia figlia a scuola con questo dubbio? Negativa mia figlia, positiva io. Meno male che ho seguito il mio istinto. La preoccupazione per la mia carne non è certo quella che ho provato per mio figlio; e poi io ho fatto la terza dose, 10 giorni fa. Non posso finire in terapia intensiva. E soprattutto non posso morire. Sono preoccupata invece per la Undicenne, a questo punto potrebbe positivizzarsi pure lei, e anche se ha completato la copertura vaccinale, vorrei proprio che se lo risparmiasse. Siamo in pareggio nella mia famiglia: due positivi e due negativi. Dobbiamo isolarci tutti, neanche i due negativi possono più stare assieme, adesso ognuno di noi deve giocarsi la sua partita, e speriamo che non vinca il nemico. Io lamento mal di gola e un po’ di febbre, i primi tre giorni. Poi solo spossatezza, raffreddore, sintomi tipo influenza, che se non fosse che il Covid ha fatto quello che ha fatto negli ultimi due anni, non sarebbe niente di che; insomma, le pareti di casa mia hanno visto influenze molto più toste, con febbri a 40° che bruciavano sulla fronte dei figli, che si son portate via un bel po’ della mia salute. Continuano i lunghi scambi epistolari col medico di famiglia. Se conto le battute, sono sicura di aver scritto di più a lui negli ultimi 13 giorni che a mio marito, in vent’anni che stiamo assieme. E mentre Mahmood e Blanco cantano “A volte non so esprimermi”, penso che io invece so esprimermi benissimo, con dovizia di particolari, ed è una fortuna, considerato che solo a parole posso spiegare tutti i sintomi alla persona che ci sta curando a distanza, persona che se mette assieme tutti i miei Whatsapp può pubblicare per me il mio secondo romanzo. Devo dire che il dottore, Giovanni Brengola, a questo punto mi pare cosa buona e giusta citarlo con nome e cognome e ringraziarlo, mi risponde sempre. E se all’inizio mi pare brutto disturbare la sera o di domenica, poi succede sempre qualcosa su cui voglio confrontarmi con lui, e lui, puntuale e disponibile, mi scioglie ogni dubbio.  Meno male che leggo e scrivo, sennò come mi passerebbe il tempo stipata nella mia cameretta? Meno male che è la settimana del Festival e della leggerezza sanremese. Peccato che devo stare lontano dalla ragazza mia. Il nostro rituale della sera prevede che ce ne stiamo avvinghiate nel lettone a vedere le nostre fiction del cuore, e lo stesso facciamo ogni anno con Sanremo. Quest’anno ci arrangiamo a stare assieme in video chiamata. Chiedo a mio marito di sbloccare le limitazioni al cellulare della Undicenne, per il fine settimana, chè io e lei abbiamo un Festival da seguire e possiamo farlo solo via Whatsapp. Mi fa una grande tenerezza Bianca, la mia adorata cagnolina, che non si capacita che non faccio entrare neanche lei in camera mia. Fa il giro del balcone e viene a fare la laconica davanti alla mia porta finestra. A volte faccio pensieri scemi, soprattutto quando cala il buio e non ci sono manco più gli alberi e i passanti in strada a farmi compagnia. Tipo che è colpa mia che io e mio figlio ci siamo presi il Covid, visto che qualche giorno primo ero andata a comprare per me e lui i pigiami nuovi, et voilà: ci sono serviti subito. Ma il pigiama, poi, l’ho preso anche al marito, ora che ci penso. Si positivizzerà anche lui? Ma no, gli AstraZeneca+Pfizer sono i più forti di tutti. Comunque non ho perso l’olfatto, l’odore del soffritto del coinquilino adulto si spande in tutta casa e si infila pure sotto la mia porta! E pensare che nella mia vita da negativa l’olio evo non s’è mai arricciato in una mia padella! E che ai figli al pomeriggio preparavo delle gran tagliate di frutta fresca e secca per mantenerli in buona salute (comunque alla merenda sana sta continuando a provvedere il papà). Ma veniamo al rapporto con l’USCA, cioè il rapporto che una famiglia come la mia, spaccata in due dal Covid, dovrebbe avere con le Unità Speciali di Continuità Assistenziale, create appositamente nel marzo 2020 per gestire a domicilio i pazienti sospetti o accertati Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero. L’USCA si è palesata nelle nostre vite -dopo 9 giorni dalla positività accertata di mio figlio- con una telefonata in cui chiedeva al ragazzo se il tampone di controllo io e lui preferivamo farlo assieme l’8 febbraio (due giorni prima per me, che ci poteva stare visto ché nel frattempo un nuovo decreto aveva accorciato la durata dell’isolamento) o il 10 (due giorni in più di reclusione per lui, che quando hai 17 anni e stai chiuso nella cameretta da 10 giorni equivalgono a due anni). A parte il fatto che uno si chiede come mai L’USCA contatti un minorenne per discettare su tali questioni e non la sua genitrice, tra l’altro positiva pure lei, ma, poi, nonostante il minorenne e il padre del minorenne, che interviene nella conversazione, diano la migliore risposta possibile: “Chiedete a mia madre, chiedete a mia moglie”, l’Unità Speciale torna a eclissarsi nel buio da cui era emersa. Cerco i numeri telefonici dell’USCA, passo solo -si fa per dire- due ore e quaranta della mia vita a tentare di richiamare, ma ahimè, è più facile parlare col Padreterno che con l’USCA. Eppure non siamo più nel vortice di fine anno scorso, il numero dei contagi è calato. Tant’è. Mi piglia una crisi di nervi. Ma poi mi ricordo che devo stare calma, respira Giovanna, respira profondamente e medita ché se ti viene il sangue amaro ti si abbassano le difese immunitarie e Omicron ti mangia in testa. Optiamo ancora una volta per un tampone a pagamento per mio figlio. Negativo, evviva Dio. Giorno successivo, tampone, sempre a pagamento, per la Undicenne. Negativo. Evviva evviva evviva. I miei figli tornano a scuola, sono felice. Io resto nella mia cameretta, e sento che adesso sono davvero sola. Il nemico secondo me se ne è andato. Ma non posso esserne certa fino a dopodomani che farò un altro tampone, il primo, seddiovuole, a cui provvederà l’USCA. Al netto della paura, dei sintomi influenzali, dell’esaurimento nervoso e di una barca di soldi in tamponi, integratori e antinfiammatori, sto bene. Stiamo tutti bene. Grazie ai vaccini ce la siamo cavata a buon prezzo. A chiusura di questo racconto, anche esilarante, ma che dice molte cose a chi le vuol capire, non posso non dedicare un pensiero a tutti quelli che hanno perso la vita a causa di questo maledetto virus. E anche a tutti quelli che hanno perso una persona cara senza averla potuto nemmeno accompagnare nell’ultimo viaggio.

Vi abbraccio, forte, chè nel frattempo di sicuro mi sono negativizzata.

P.S. E invece sono ancora positiva, o almeno lo ero fino a tre giorni fa che ho fatto il tampone con l’USCA. E dopo 26 ora circa ho ricevuto il tanto sospirato risultato. Purtroppo non quello sperato. A questo punto posso decidere di continuare la reclusione in cameretta per un’altra settimana (più un giorno o forse due per aver l’esito, l’USCA si prende fino a 48 ore per comunicarmelo) e rifare il tampone molecolare, oppure recarmi in farmacia e praticare quello antigenico il cui esito, che arriva di solito in mezz’ora, è equiparato a quello molecolare, sia per decretare la guarigione sia per riattivare il Green Pass, il tutto al piccolo -si fa per dire- prezzo di 15 euro. Bah, sarò io che sono offuscata dal raffreddore persistente e da Omicron, ma mi viene spontaneo chiedermi: perché non provvedono le ASL ai tamponi antigenici snellendo le quarantene, e non facendo perdere più tempo -e soldi- del necessario alle persone già provate dal Covid e dall’isolamento fiduciario? Se non avessi provveduto a fare i tamponi in farmacia ai miei figli, avrebbero perso altri giorni di scuola in presenza, e i discenti, soprattutto quelli campani, banchi, lavagne e facce dei compagni di classe, negli ultimi due anni li hanno visti solo attraverso uno schermo. E se io proprio non avessi potuto permettermeli i test a pagamento? Mi sa che li investo altri 15 euro in un altro tampone antigenico, sperando che sia l’ultimo, non è concepibile pensare di stare altri otto giorni in isolamento: che valore ha il mio tempo per chi mi governa? E poi, i due infermieri che si alternano nella farmacia in cui vado di solito sono gentilissimi e ti passano con estrema delicatezza solo la punta dell’asticella nella narice, tipo cotton fioc. E non è vero che se non ti arrivano al cervello il Covid non lo sbugiardano. Il giorno che son risultata positiva, l’infermiere mi aveva fatto solo un piccolo giretto nella parte più esterna delle narici, e, dopo 10 minuti, ero ancora lì a comprare la Vitamina C e altri integratori, la farmacista mi ha chiamato in disparte e mi ha comunicato l’esito.

E quindi anche sabato e domenica stipata nella cameretta, vado a fare il tampone domani, lunedì 14 febbraio, San Valentino, sperando che Amore mi strappi di dosso -per sempre- questo fottutissimo figlio di puttana (scusate il francesismo in chiusura).

 

venerdì 7 gennaio 2022

Epifania e altre magie a "La Girandola"

 

Ph: Raffaele Iuliano


È difficile per me scegliere il punto da cui partire con questa storia.

Ci starebbe bene un “C’era una volta…”, sembra quasi una favola!

Quando ho saputo dell'esistenza nel paese in cui vivo (Nocera Superiore, Salerno) di un’associazione (composta da 12 ragazzi disabili e le loro famiglie) che ha la sede solo all’aperto, sono andata a bussare al cancello verde che dà sul giardino in cui ha messo radici La Girandola; nella terra che le è stata donata dai fratelli Antonio, Felice e Teresa Petti. Ad attendermi dietro quella porticina c’erano delle persone che desideravano essere viste e ascoltate. Dodici ragazzi meravigliosi. E con loro padri, madri, fratelli e sorelle meravigliosi. La disabilità, penso lo sappiate, non riguarda mai solo l’individuo che ne è colpito, ma tutta la famiglia di cui fa parte. Il sostegno va a tutti i componenti di un nucleo familiare che ha un andamento diverso rispetto agli altri. Un andamento più affaticato. Eh sì, strilliamolo forte che qui parliamo di persone che fanno una fatica enorme, psicologicamente e fisicamente, tutti i giorni che Dio manda in Terra. Io pensavo di avere un solo “potere” per migliorare la vita delle persone: l’ascolto. Anzi tre: ascoltare, immedesimarmi e poi scrivere. Dare voce a chi non ne ha. E invece, ho scoperto che posso fare anche di più: accentrare forze e competenze al servizio di una buona causa. Mi era capitato di adoperarmi per creare delle relazioni (penso alla mia Silvy al limitare del bosco!), ma mai avevo pensato di alzare il telefono e chiedere qualcosa. Era uno degli ultimi pomeriggi dell’anno 2021 e io ho fatto quattro telefonate per organizzare una mattinata di gioia, folclore, musica e buon cibo alla Girandola. Sul giorno in cui fare la festa non avevo dubbi: sei gennaio, il giorno del dono per eccellenza. Epifania è parola che viene dal greco e significa manifestazione. E io questo volevo: che alla Girandola si manifestassero tre (gruppi di) re magi! Ho chiesto a Giovanni Scarano se volesse essere lo sponsor ufficiale dell’evento con La Nina ortofrutta. A Giuseppe Ferrigno, presidente dei Cavalieri della Bolla Pontificia di Cava de’ Tirreni, se potesse assieme ai suoi uomini portare alla Girandola il folclore, la tradizione e la solidarietà che incarna l’associazione che presiede. Ho domandato ai Maestri Enrico e Serena Della Monica se potessero dedicare un concerto ai miei nuovi amici. E a Lorenzo Principe di Famiglia Principe 1968 se fosse possibile attrezzare un buffet con i loro gustosissimi fritti. Tutti mi hanno risposto: “Sì. A disposizione. Con piacere. Dove e quando”. Io ero già appagata dalla disponibilità delle persone coinvolte! Per me era già una roba enorme, commovente! E invece quello era solo l’inizio. Ho telefonato anche a Giulia Verdoliva, che avevo visto in più occasioni ballare mentre i Della Monica suonavano. E pure due fotografi, ho convocato: Francesco Gaito e Raffaele Iuliano, perché immaginavo che ci sarebbero stati tanti momenti emozionanti, soffiati nell’aria dalla Girandola da acchiappare al volo. Sì, sì e ancora sì. Vi adoro tutti, amici miei!




Ph: Raffaele Iuliano

Il 6 gennaio 2022, alle ore 10 in punto come da accordi, i Cavalieri, in alta uniforme, erano davanti al cancello della Girandola. Hanno fatto il loro ingresso marciando e suonando, è stato davvero suggestivo. Il Regio Capitano, Giuseppe Ferrigno, ci ha narrato la storia dell’associazione e il mantra che la contraddistingue: essere presenti ovunque ci siano persone che hanno bisogno di essere “abbracciate”. Che bella cosa: da quando gli abbracci ci sono stati scippati abbiamo capito che hanno un valore enorme, anche quando sono solo pensati. Ferrigno ha insignito me e il presidente della Girandola, Vincenzo Spagnuolo, della medaglia dei Cavalieri, un onore immenso, e poi sono state consegnate caramelle e braccialetti con logo a tutti i ragazzi. Abbiamo brindato all’ amicizia fra Cavalieri e Girandola e sugellato il patto di collaborazione con la caprese buonissima della mamma di Rossella, una delle signorine della Girandola. Manco il tempo di salutare gli uomini ammantati dalla seta di San Leucio, che si è palesata al cancello verde la Befana, in carne e ossa! Che magia, avrei voluto chiederle di portarmi a fare un giro sulla sua scopa perché volevo prendere un po’ di distanza da tutta quella emozione che mi stava scoppiando in petto, ma non c’è stato tempo, sono arrivati i Maestri della Monica ed è continuata la festa. 


Ph: Francesco Gaito

Enrico Della Monica, padre di “I Figli del Vesuvio” è uno che ha insegnato per 40 anni nelle scuole medie e l’inclusività l’ha sempre praticata, veramente e non a chiacchiere, in tempi in cui non si sapeva manco che fosse. 

Serena, sua figlia, leader del gruppo “Le Ninfe della Tammorra”, ha seguito le orme del suo papà, anche lei insegna Musica nelle scuole medie e da poco è diventata Tutor accademico specializzato in didattica musicale inclusiva; lei e suo marito, il dottor



Ph: Francesco Gaito

Mimmo Carbone, hanno fondato la Free Sound Accademy che da maggio 2022 sarà operativa a Salerno. Enrico si trasfigura mentre percuote la tammorra. Canta a occhi chiusi. Serena lo accompagna con la fisarmonica, e poi mette in mano a tutti i ragazzi uno strumento per renderli parte integrante dello spettacolo. Ecco, qui si è consumato per me il momento più alto della festa: vedere i ragazzi suonare e sorridere è stata un’emozione che non scorderò finchè campo. A un certo punto, Francesco Gaito, mi ha fatto notare che Salvatore, Rossella, Alessandro e Michele si aiutavano l’un l’altro a fare musica. Subito dopo le ballerine vere e quelle improvvisate hanno fatto cerchio attorno a Fabio. Enrico e Serena ci hanno cantato delle nenie natalizie della tradizione popolare, e poi, a grande richiesta, Brigante se more di Eugenio Bennato. Serena Della Monica è venuta alla Girandola con suo marito e la sua piccola Linda, nata solo un mese e mezzo fa, pensate un po’ quanto ci teneva a esserci. Meno male che dopo tante emozioni ci siamo “calmati” a suon di pizzette, e altre prelibatezze preparate per noi da Antonella Principe. Vabbe’, qui ho giocato facile facile: Antonella è una delle persone più care che ho al mondo!


Ph: Raffaele Iuliano

Vincenzo Spagnuolo e Laura Milite, presidente e vice presidente dell’associazione hanno regalato a tutti noi che abbiamo portato allegria alla Girandola delle meravigliose opere in ceramica realizzate da loro assieme ai ragazzi. Io vedevo consegnare queste robe bellissime e mica l’avevo capito che ne avevano in serbo una anche per me! Anzi, due per me. Uno specchio magico che mi ricorderà ogni giorno, anche quando inciamperò in qualche bruttura, che il mondo è pieno di bellezza se lo guardi attraverso un cuore grande. E poi una fatina incantata e incantevole (l’ho chiamata Maria Sole) realizzata da Teresa Milite, sorella di Laura; la vice presidente ha letto al momento della consegna, una letterina carica di gratitudine e amore; io la ascoltavo, respiravo la sua emozione e mi convincevo sempre di più di essere stata catapultata dentro una favola…

E allora, favola sia! C’era una volta l’Epifania 2022 in cui mi sono trasformata in una Befana “color mare in lontananza” alcuni capiranno … e a proposito di mare e di sogni che si tingono di celeste, ieri ho donato alla Girandola il mio romanzo, Tuttoattaccato, con l’augurio che abbia al più presto una sede imbastita in cemento e mattoni per tenerlo al riparo, perché se un libro lo lasci sotto un gazebo, la pioggia prima o poi lo riempie d’acqua e dopo tocca solo buttarlo. E lo stesso vale per i sogni che lasciamo alle intemperie.

Io ringrazio ancora una volta tutti quelli che mi hanno sostenuto in questo progetto meraviglioso. Tutti i contributors nominati sono venuti alla Girandola gratuitamente; la donazione di Giovanni e Massimo Scarano di La Nina servirà a mettere le vetrate al gazebo e creare un piccolo angolo riparato nel giardino della Girandola:)) Ringrazio Vincenzo, Laura e tutte le madri, i padri, i fratelli e le sorelle della Girandola, persone stupende delle cui facce belle mi sono innamorata subito, la prima volta che le ho incontrate. Chiedo venia se ho scordato di citare o ringraziare qualcuno ma non faccio l’organizzatrice di eventi per mestiere. Sono solo una donna di buona volontà 😊

                                                                                              Giovanna Sica



Ph: Christian Palumbo