Ferzan Ozpetek
sta per tornare sul grande schermo con un nuovo film, “Allacciate le cinture”. Dobbiamo
attendere solo (si fa per dire) altri sette giorni.
Intanto, lo
scorso novembre, il regista turco ha pubblicato il suo primo libro.
“Amore. Che
cos’ ho imparato sull’amore? Quello che ho imparato sull’amore è che l’amore
esiste … Ho imparato che l’amore non sa né leggere né scrivere. Che nei
sentimenti siamo guidati da leggi misteriose, forse il destino o forse un
miraggio, comunque qualcosa di imperscrutabile e inspiegabile. Perché, in
fondo, non esiste mai un motivo per cui ti innamori. Succede e basta. E’ un
entrare nel mistero: bisogna superare il confine, varcare la soglia. E cercare
di rimanerci, in questo mistero, il più a lungo possibile”. Ferzan Ozpetek,
“Rosso Istanbul”.
In copertina
ci ha regalato una foto di sua madre da giovane. Uno sguardo altrove e
trasognato. Una grande donna, di cui si parla molto fra queste pagine (anche se
il libro non è propriamente autobiografico). Una madre che lo chiama all’alba,
con l’urgenza che hanno solo i vecchi, per dirgli: -niente conta più
dell’amore-. Come se fosse una scoperta sensazionale. O forse, semplicemente,
il senso della vita.
“Rosso
Istanbul” racconta di un ritorno. Al passato. Ad un posto felice dell’infanzia. Ad una città, Istanbul, che se fosse un
colore, sarebbe il rosso. Come i tramonti sul Bosforo. Come lo smalto sulle
unghie di sua madre. Che ora, per la crudeltà del tempo che le è passato
addosso, per piacere al suo fisioterapista, di rosso chiede una tuta da
ginnastica. Ancora, soprattutto, è un libro sull’amore. Sull’ ineluttabilità di
questo sentimento. L’unico che rende una vita degna di essere vissuta.
Il romanzo ha
inizio su un aereo che da Roma va ad Istanbul.
Seduti vicino, ci sono un regista turco ed una coppia sposata, Anna e
Michele. Il romanzo racconta due storie. Separatamente. “Lui”, “Lei” c’è
scritto sopra il titolo di ogni capitolo. E se per il protagonista maschile (che
ricorda tanto l’autore), questo viaggio è un ritorno a casa, per Anna Istanbul
è tutta da scoprire. Le due storie, in queste pagine, si sfiorano più volte. Si
avvicinano, ma non si toccano. Almeno fino alla fine. Dove, in una notte in cui
tutto può ancora succedere, la verità del regista e quella di Anna si
incastrano.
La prima
cosa che ho fatto, dopo aver letto ROSSO ISTANBUL (due volte), è stato andarmi
a rivedere tutti i film di Ozpetek. La lettura di queste 111 pagine, mi ha
messo in mano nuovi elementi per la comprensione delle sue pellicole. La zia
zitella interpretata da Elena Sofia Ricci in “Mine Vaganti” , la ritroviamo
anche nel libro. Come nel film, anche qui abbiamo una zia (zia Guzin) che gridava “a ladro”quando, di notte, uno dei
suoi amanti usciva dalla sua camera. Ancora il regista turco del libro racconta una
cosa che gli piace fare: estraniarsi un
momento sulla porta della sua cucina, per guardare i suoi amici, in quelle sere
che son venuti a casa, e si mangia e si beve e si fanno i soliti discorsi
attorno ad un tavolo. E non ho bisogno neanche di un secondo, per ricordarmi
che questa scena io l’ho già vissuta in “Saturno contro”, con Luca Argentero. -Ecco. Ci sono momenti come questo in cui
riesco a sentirmi felice, non so bene perché … ma vedere Davide insieme ai
nostri amici mi fa sentire al sicuro … so cosa dicono, cosa pensano e anche se
son sempre le stesse cose, mi va bene così … Non voglio sorprese, novità, colpi
di scena … voglio che tutto rimanga come è adesso … per sempre … anche se so
che per sempre non esiste”.
Ad Ozpetek piace considerarsi turco a Roma e
romano in Turchia.
Adora vivere
nella nostra Capitale, son ben trentasette anni che è in Italia. Tuttavia, non
ha permesso al tempo trascorso qui di mettersi fra lui e la sua magica terra. Ha
continuato a viverla. A tornarci. Per non dimenticare il profumo del tiglio e
delle frittelle dei venditori ambulanti.
Con “Mine
vaganti” il regista turco si innamorò del Salento. Di Lecce. Fu il suo primo
film, girato in Italia, che non avesse Roma come location. Finora. Fino a “Allacciate
le cinture” che sta per uscire. Ferzan è tornato a lavorare a Lecce. E, chi ha
visto “Mine vaganti”, non avrà avuto problemi a capire perché questa città gli
abbia conferito la cittadinanza onoraria. Dopo la visione di questa pellicola,
si ha un solo desiderio: perdersi nei vicoli di questa terra luminosa. Ci si va
apposta. Ci si torna apposta. Si cammina per le strade di Lecce, e ci si lascia
sorpassare, ad ogni angolo, da quella giovane sposa impaurita che scappa da un
destino già scritto per filo e per segno. Sembra di sentire i passi della gente
al funerale di quella sposa divenuta con gli anni una nonna stravagante. Che
nel suo testamento dirà :“La terra non può volere male all’albero”. Era lei la
vera mina vagante della famiglia. Ognuno di noi è stato, almeno una volta nella
vita, quella sposa. Quella mina vagante.
Ferzan è
grande maestro nel raccontare la vita. Il suo sguardo d’insieme si sfilaccia in
ogni inquadratura. Scruta l’animo umano, le debolezze, le manie. Ma anche gli
slanci , i sogni realizzati e quelli rimasti impigliati in qualche albero,
proprio come gli aquiloni della sua infanzia. Racconta l’amore, sopra ogni
cosa. In tutte le sue possibili facce. Non è mai giudice supremo, deus ex
machina. Piuttosto è un amico immaginario che cammina accanto ai suoi
personaggi. Questi hanno vita propria, nemmeno lui può cambiare il destino che
li attende. Però, è sempre lì, al loro fianco. Non li lascia. Non li perde.
Ci son frasi
nel suo libro, così come in tutti i suoi film, che ti si fissano in testa. Che irrompono
nella tua vita. E te la rovesciano. I suoi lavori si potrebbero definire “a
rilascio graduale”. Come certe medicine, hanno il potere di guarirti. Dopo ogni
suo film, si esce dalla sala arricchiti. E cambiati. Ozpetek ha il potere di
trascinarti in mezzo alla storia dei suoi personaggi (Magnifica Presenza). Di
farti crescere il cuore per accogliere un nuovo possibile dolore (Un giorno
perfetto). Di spezzarti il respiro, mentre aspetti che la vita riprenda a
scorrere, dopo uno strappo (Cuore sacro). Di metterti in attesa di quella “mazzata fra
capo e collo” , di cui parlava Ennio Fantastichini (Saturno contro). Perché
niente conta più di quella mazzata. “Niente conta più dell’amore”. E forse, è
vera e sacrosanta l’urgenza con cui la madre lo chiama all’ alba per svelargli,
ogni volta, questo segreto.
Il trailer del
nuovo film è accompagnato dal brano “A
mano a mano”. Canzone di Cocciante, in una versione emozionante, quasi urlata di
Rino Gaetano. Non è la prima volta che Ozpetek ci mette in mano bellissimi
testi. Si pensi all’inedito “Sogno “ di Patty Pravo, a “Remedios”, brano del
1974, cantato dalla grande Gabriella
Ferri. E poi, non manca mai nei suoi
film, almeno una canzone dell’amica Sezen Aksu. Con le sue melodie struggenti
come tutti i suoi film.
Ho molto apprezzato la scelta di Kasia Smutniak come protagonista femminile. Ma anche le altre donne del film sono splendide: Elena Sofia Ricci, Carolina Crescentini, Carla Signoris.
So che
Ferzan, come me, adora cucinare e avere gli amici a casa. Mi sono interrogata
seriamente su quale ricetta dedicargli, ho pensato che se (volesse il Cielo) capitasse
ospite ad una mia cena, gli farei un piatto semplice, ma dal sapore deciso:
-Gli
spaghetti con la colatura di alici di Cetara-
Ricetta per
sei persone:
-600 gr di
spaghetti (i miei amici vogliono il piatto pieno!)
-sei
cucchiai di colatura di alici
- pane tostato e sbriciolato al momento
-3 spicchi
di aglio
-pomodorini
del Piennolo
-olio extra
vergine d’oliva (si, ma deve essere quello buono)
-6,7 alici
sotto sale
Si fa
bollire l’acqua e si cuociono gli spaghetti (senza sale, la colatura è già salatissima!).
In una
padella si fanno soffriggere l’olio con i pomodorini e l’aglio (leggermente
schiacciato). Si scola la pasta al dente e si tuffa in padella,
contemporaneamente si aggiungono la colatura e le alici salate (previamente
passate sotto l’acqua), il pane tostato nel forno e poi sbriciolato grossolanamente, prezzemolo e ancora olio evo a crudo.
“E quando
trovi il coraggio di raccontarla, la tua storia, tutto cambia. Perché nel
momento stesso in cui la vita si fa racconto, il buio si fa luce e la luce ti
indica una strada. E adesso lo sai, il posto caldo, il posto al sud sei tu”
Rosso Istanbul.
Mi piace
concludere con questa frase del libro. Mi fa credere che ogni vita meriti di
essere raccontata. E che siamo tutti in viaggio. Anche quando restiamo fermi.
Anche quando non ce ne accorgiamo.
Un
abbraccio, vostra giò.
Ah, il sei
marzo andrò a vedere ALLACCIATE LE CINTURE. Poi vi dirò J