Articolo di Giovanna Sica, pubblicato su Confidenze, Mondadori, numero 12
Il 4 gennaio scorso, quando il buio si è fatto profondo, è volato in Cielo
Pino Daniele. La botta al cuore l’abbiamo avvertita tutti in quella tragica
notte. Chi non gli è debitore di un’emozione vissuta con
la sua colonna sonora? Lui era dentro la vita di ognuno di noi. Te la suonava e
te la cantava, quell’emozione.
La sua è la storia di uno scugnizzo che, a muso duro, era partito per la
rivoluzione con la chitarra in mano. Il capo rivolta che a 21 anni aveva già scritto “Napule è”, manifesto di una città
splendida e difficile. Giuseppe Daniele, primogenito di sei figli, venne
affidato per questioni di povertà a due zie che abitavano nel centro storico di
Napoli. Fin da bambino la sua vita fu impregnata di musica. Imparò da
autodidatta a fare magie con la sei corde. I piedi ben piantati nelle sue
radici non gli hanno impedito di dare una scossa alla tradizione partenopea. Ha
abbracciato tanti generi musicali: il blues, il soul, il funky, il jazz, il
pop, il rock. I suoni latini, africani, arabi. Ha dissacrato i simboli della
napoletanità (‘o sol, ‘o mar, ‘na tazzullella ‘e cafè) e l’ha fatto per
liberarli dagli stereotipi.
Ha cantato la semplicità
degli uomini. “Fortunato” (1976) che vende i taralli nei vicoli di Napoli .
“Donna Cuncetta” che si è fatta vecchia e si sente “una pezza” in mano alla
gente. Poeta di quei tempi di mezzo, dello “stare bene a metà”.Quegli stati
d’animo che non sono chiari a tutti. D’altronde, lui era un uomo in blues. Uno
che aspettava la pioggia (Quanno chiove). Il sole, anche. -Magari sotto un
ombrellone rabberciato-, suggerisce il mio amico Carlo, come sulla copertina di
“Schizzechea with love” (1988). Pino Daniele ha collaborato con tutti i più
grandi artisti italiani ed internazionali perché adorava le contaminazioni. Il
lazzaro felice con la voce leggera ha camminato sul mondo, Napoli sempre sulle
spalle. Trentatré album, milioni di fan. Ha fatto quello in cui credeva, fedele
a se stesso e al suo desiderio di fare musica (e allora esco con la giacca di
sempre/questa faccia che non mi riesce/a nascondere niente, “Niente è come
prima”, 2012). Il 19 marzo il mascalzone latino avrebbe compiuto 60 anni. E’
bello credere che stia ridendo a crepapelle, da qualche parte, con l’amico
Troisi, come in una trasmissione di Minà. Ma è altrettanto dannatamente bello
ricordare il nero a metà sul palco, in mezzo al fratello bianco che scompiglia
l’aria con le sue bacchette e quello nero che soffia nel suo strumento. Tullio
De Piscopo (alla batteria) e James Senese (al sax) sono due illustri esponenti del
supergruppo storico di Daniele.
Tullio De Piscopo
Ci incontrammo per la prima volta un venerdì. Te lo ricordi? Pizzeria Port’
Alba. Anno 1977. Ci piacemmo subito. La nostra collaborazione cominciò col
disco “Vai mo’” ; la nostra amicizia nell’istante in cui ci ritrovammo davanti
a quella pizza. Quanto è stata gentile la vita a mettere sul tuo cammino me,
James Senese, Rino Zurzolo, Tony Esposito e Joe Amoruso. Abbiamo fatto delle
cose pazzesche assieme. E chi se la scorda l’emozione del 19 settembre 1981! Il
primo grande concerto in piazza del Plebiscito che fino a quel giorno era stata
solo un parcheggio. Duecentomila persone per noi. Tenevamo “arteteca”(non
riuscivamo a stare fermi). Quel fenomeno fu chiamato neapolitan power: una
manciata di scugnizzi che conquistavano l’Italia. Alleria.
E mo’? E’ passato ancora troppo poco tempo da quella maledetta notte. Ma il
tempo non potrà mai essere abbastanza per riempire questa assenza, per sanare
questo mio cuore scippato. Eravamo amici da quasi 40 anni. E anche nei giorni
che ci hanno visto lontani, i miei silenzi erano sempre rivolti a te. Se
scoprivo una città col mare o compravo un giubbotto nuovo, io pensavo a te. -Chissà se a Pino piacerà- mi chiedevo. Perché il mio era ed è amore
verso l’uomo prima che il musicista geniale e visionario che esaltava le mie
capacità. Amo la tua faccia da indiano. Tu sei Geronimo e io Cochise. Per
sempre. E mo’? Ora mi tengo stretto il tuo ultimo dono: le tre magliette che mi
regalasti durante il tour “Tutta n’ata storia” del 2013. Io mi presentai tanto
bello con la camicia e la cravatta bianca, ma tu dicesti che la camicia era per
i “chiattulilli” (cicciotelli), che a me stavano bene
le t-shirt. –E dove la prendo ora una t-shirt adatta?- ti contestai io, ma non
ci fu bisogno di cercarla da nessuna parte. Andasti tu a comprarmela. Impegnato
com’eri, trovasti il tempo. Di giorno ti penso e di notte prego per te, mentre
una lacrima amara, di sale, mi riga la faccia. Appocundria.
Ho ancora in bocca il sapore dell’ultimo bicchiere di vino rosso assieme,
non andrà mai completamente giù. Resterà come resti tu, amico mio. Buon
compleanno Pino, continuerò a cercarti dentro quei miei silenzi rivolti a te.
James Senese
Si sarà stupito l’amico Massimo (Troisi) trovandoti sulla porta del
Paradiso. Si sarà affacciato subito il maestro Carosone. Poi, proprio perché noi
napoletani siamo vivaci, la notizia sarà arrivata immediatamente pure a Roberto
Murolo ed Eduardo Caliendo. Tutti in piedi ad accogliere te, l’uomo in blues.
Comm stai Pino? In molti, dopo che te ne sei andato, sono venuti a chiedermi di
quella alchimia che c’era fra di noi. Fra il mio sax, la tua voce e la tua
chitarra. E come gliela spiego? Al sax non gli puoi raccontare bugie: ci soffi
dentro l’aria e l’anima che hai in corpo e quello ti regala suoni che rimangono
sulla pelle, come tante piccole cicatrici. E io questo sound struggente lo
riuscivo a inventare per te. Per le tue canzoni che amo. Prima di incontrarti,
la musica per me era solo protesta contro il sistema. Con te ho iniziato a
suonare anche l’amore, che era già dentro di me, solo che io non lo sapevo. Per
noi è stato naturale scambiarci la pelle, fin da quella prima volta che, da
ragazzo, venisti a casa mia per chiedermi di suonare nel mio gruppo (Napoli
Centrale). E ti prometto una cosa, amico mio: come ti aiutai allora, lo farò
anche adesso che tu non sei più qui. Difenderò coi denti il tuo patrimonio
artistico perché tu sia ricordato per quello che eri: il grande cantautore e
musicista che è riuscito a portare nel mondo una Napoli nuova. Le emozioni
forti che vivevamo sul palco non si possono descrivere. E’come quando scorgi in
cielo un disco volante: l’hai visto solo tu, nessuno ti crede. Beh, noi quel
disco volante non l’abbiamo solo visto, ci siamo saliti a bordo. Abbiamo fatto
viaggi fantastici in mondi lontani e, come in un sogno, ovunque andavamo il
pubblico recepiva il nostro sound e capiva il tuo napoletano manco fosse stato
inglese. Solo che non è stato un sogno: è proprio così che è andata. Perché tu
eri vero ed arrivavi al cuore della gente.
Buon compleanno, fratello nero a metà.