La prima
volta che incontrai Mario, lui per me era solo il papà di Jovanotti. Il Babbo, come lo chiama suo figlio
Lorenzo.
Era
settembre di due anni fa, quando io e Christian, mio marito, decidemmo per una
gita a Cortona. Beh, Cortona era la destinazione fittizia; quella vera era casa
di Jovanotti. Avevamo pensato che se Lorenzo stava a casa sua, magari, con un
po’ di fortuna, saremmo riusciti ad incontrarlo. E così, con un’ incredibile faccia
tosta, ci arrampicammo fino al poggio che portava alla sua villetta, con nostro
figlio di otto anni e mezzo. E lui oltre ad affacciarsi
alla finestra, come canta nella sua famosissima Serenata rap, varcò il cancello
della sua abitazione e venne a salutarci. Ora, non dico che venne fuori proprio
per noi; era con sua figlia Teresa, stavano uscendo in moto. Però noi eravamo
lì, e potemmo abbracciarlo, fare le foto, qualche veloce domanda e consegnargli
una lettera d’amore (ne ho sempre qualcuna con me).
Quando un sogno ti si materializza in
mano, perdi tutte le parole …
Credo che mio figlio, quando sarà
grande, ripenserà con gioia a questa giornata in cui i suoi due folli genitori
l’hanno trascinato in cima ad un poggio. Davanti alla casa di Jovanotti. E non
eravamo più una madre, un padre e il loro bambino, ma tre ragazzini alla gita
della scuola.
Così
scrivevo sul numero 40 di Confidenze
del 2013; la mia gita a Cortona diventò un racconto.
Lasciammo casa di
Jovanotti che quasi non sentivamo più la terra sotto ai piedi. Mio figlio
continuava a ripetere: -E’ altissimo, è fichissimo! E poi ho toccato anche la
sua moto-. Io pensavo: “Chissenefrega della moto, io ho toccato lui!”. Solo
che, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare se l’avevo baciato.
Anche mio marito asseriva piccato che l’avevo baciato, eccome. Dopo
l’entusiasmante incontro col ragazzo
fortunato, scendemmo in piazza della Repubblica e ci recammo alla bottega
di Mario Cherubini, che, con la fortuna sfacciata che tenevamo addosso quel
giorno, era proprio sulla porta, ad aspettarci. Con frenesia gli raccontammo
della nostra folle sosta sotto casa del suo ragazzo. Lui ci ascoltava e sorrideva.
Poi fu lui a parlarci di sé, della sua famiglia, di questo figlio che cantava Io penso positivo e che da piccolo era
introverso e sognatore.
Lui parla, noi lo ascoltiamo
incantati. Con il pensiero torno a quella canzone di tanti anni fa: Mario.
Quella canzone in cui Lorenzo raccontava che suo padre l’aveva portato ai
funerali degli agenti della scorta di Moro: -Forse il centro di tutto è quella
mano che mio padre mi appoggiò sulla testa, questo è quanto mi resta, un
ricordo profondo grande come il mondo. Questo gesto che mio padre ebbe il cuore
di fare, questo gesto d’amore mille volte più potente di un pugno in questa
notte di giugno in cui scrivo mi fa essere vivo, pronto ad essere padre a mia
volta-. Mario, come posso spiegarti che negli anni in cui io crescevo , questa
tua mano me la sono immaginata mille volte. E ora eccola:è ancora grande,
ancora forte. La stringo nelle mie. Sarei rimasta qui tutta la vita a sentirti
parlare. (Confidenze, N.40, 8 ottobre 2013).
A febbraio
di quest’anno, io e mio marito siamo tornati
a Cortona. Stavolta, per la prima volta, senza bambini. L’occasione: il
Cortona mix Festival, assistere da un palco del Teatro Signorelli allo
spettacolo di Roberto Vecchioni. Il cantautore meneghino, da noi molto amato,
ci avrebbe regalato canzoni e parole del suo ultimo libro, Il mercante di luce. Una serata bellissima, intensa.
Il vino e le
bruschette al Caciobrillo, proprio in
piazza della Repubblica, e il ritirarci a piedi in quel b&b, Pane e vino, in cui avremmo voluto dormire
già la prima volta che eravamo andati a Cortona. Sì, quello che prometteva la colazione
con prodotti biologici che io aspettavo di assaporare da un anno e mezzo e a
cui, nella prima gita, avevo rinunciato per non lasciare i bambini dai nonni.
Ecco, più
che la marmellata di fichi, che pure si rivelò buonissima, io sapevo che
all’indomani ci aspettava un altro emozionante appuntamento: la bottega di
Mario. E stavolta non fu nemmeno necessario spiegargli alcunché. Ci mettemmo a
parlare con una disinvoltura straordinaria. Con mio enorme rammarico, scoprii
che non aveva mai ricevuto la copia del Confidenze
in cui c’era il mio racconto A casa di
Jovanotti, eppure un ristoratore di Cortona mi aveva promesso che
gliel’avrebbe consegnato. Gliene lessi un pezzetto, e lui si commosse,
soprattutto nella parte in cui parlavo di lui …
L’incontro con Mario mi dà quasi più
gioia di quello con il figlio, se è possibile. Quest’uomo fantastico che mi
trovo di fronte deve avere quasi ottant’anni ed è di una bellezza incredibile.
E’ alto e maestoso, come una montagna. Ha l’azzurro negli occhi e la luce nel
sorriso.
Passammo
l’intera mattinata a chiacchierare. Il suo computer era aperto sulla pagina di
un blog in cui si parlava di suo figlio e del nuovo album Lorenzo 2015 cc, ricordo ancora il titolo del post, Perché Jovanotti spacca, -tredici pagine,
vi rendete conto- continuava a ripetere Mario, -non ce la farò mai a leggerlo
tutto!-.
E poi ci raccontò dei suoi cinquant’anni al Vaticano. Di come fosse
diventato per caso un gendarme dello Stato Pontificio. Ci parlò dei papi che
aveva conosciuto, e si vedeva che era
molto orgoglioso del suo lavoro-. –La
sua vita è molto interessante, Mario. Le va se le scrivo un articolo per la
rivista con cui collaboro?- azzardai sull’onda dell’entusiasmo. –Ne riparliamo
la prossima volta che tornerai a Cortona. Ti vorrei regalare un bel rosario che
ho a casa, perché sei una bella tipa, Giovanna – si complimentò il Babbo, con quella sua voce che teneva
tutte le cose dentro, un po’ ingarbugliate, ma che poi venivano fuori
chiarissime, come per magia. –Ora
dobbiamo proprio andare, Mario. La prossima volta che ci incontreremo,
accetterò volentieri il suo regalo-. Intanto arrivò pure Felice, la persona che
lo aiutava per le incombenze quotidiane. Proprio quella notte aveva soccorso
Mario che era caduto in casa, senza farsi nulla di grave, per fortuna.
Diciannove
aprile 2015. Una giornata di lutto nero: un barcone di migranti naufraga nel
canale di Sicilia. Si parla di settecento morti. Sono talmente presa dalla
mattanza che non sento e non vedo nient’altro. Passo ore a telefono con un
militare della GdF che ha fatto parte per dodici anni dell’operazione Mare Nostrum, per scrivere subito un
articolo. Ho una sola ossessione quella domenica: raccontare la disperazione dei
migranti ammucchiati fra quelle lamiere arrugginite, buttati in mezzo al mare. Solo nel pomeriggio vedo che la mia bacheca fb
è piena di link con cui le mie le mie amiche lettrici cercano di mettermi al
corrente di un’altra disgrazia: è morto Mario. Loro sanno delle mie visite al Babbo; avevo postato pure la foto della
crostata alla nutella, con tanto di dedica Grande
Mario, che avevo mandato al signor Cherubini dopo il nostro secondo
incontro, insieme alla famosa copia del Confidenze
che non aveva mai ricevuto. Lui era stato felice della sorpresa.
Grande
Giovanna!, aveva scritto in un messaggio, ringraziandomi. Si era fatto una
foto con la torta e l’aveva messa sulla sua pagina fb, con l’entusiasmo di un
ragazzino. Mario non c’e più. Non ci
sarà una terza volta, quella in cui mi avrebbe regalato il rosario. Non ci sarà
mai quell’intervista in cui, forse, mi avrebbe raccontato cinquant’anni di Vaticano
visti dai suoi grandi occhi azzurri; ma, sia chiaro, solo cose risapute, che si
potevano dire, di certo non mi avrebbe svelato i segreti dei papi, lui che
aveva fatto giuramento di non portare mai fuori da quelle mura ciò a cui aveva
assistito. E, se li è portati con sé Mario, nel posto in cui ora si trova, quei
fatti della Chiesa che mai avrebbe tradito.
Sono io
invece che mi sento tradita, dalla vita e dalla morte che decidono per noi e se
ne fregano dei discorsi, dei pensieri e dei sogni che noi stavamo ricamando per
i nostri giorni a venire. Io che ho dovuto mettere la distanza di un mese fra
me e il giorno in cui Mario se n’è andato, perché subito, non sarei mai
riuscita a cacciar fuori queste parole. Mario che la prima volta era solo il
papà di Jovanotti, la seconda divenne Mario e basta. Un uomo meraviglioso. Col
candore di un bambino. Che mi ha raccontato di sè, della sua famiglia, come se non fosse pienamente consapevole di essere il Babbo nazionale. O forse, dall'alto dei suoi ottantun'anni, a Mario bastava guardarle in faccia le persone per capire se si poteva fidare.
Mario,
ovunque tu sia, sappi che le tue
confidenze resteranno gelosamente custodite nel mio cuore. Per sempre! La tua
bella tipa! :)