sabato 23 agosto 2014

Festival "Sui sentieri degli Dei" ad Agerola


Agerola. Che posto incantevole che è Agerola. Si svolge qui fra luglio ed agosto il Festival  “Sui sentieri degli Dei”.
E il 13 agosto scorso c’è stata una serata che non potevo perdermi: “Note e poesie” , con consegna del premo Salvatore Di Giacomo a Roberto Vecchioni.
Il cantante lombardo, figlio di napoletani, è completamente a suo agio in mezzo a tanta bellezza. In mezzo a tanta meravigliosa napoletanità. E’ un concetto a lui caro, questo. E gli spiace davvero che alcuni abitanti della nostra bella penisola non conoscano e non apprezzino la storia, le virtù e i preziosismi di questo antico, mai fuori moda “brand”. La napoletanità.
Vecchioni ricorda che il regno di Napoli è stato il primo e il più prestigioso d’Italia. E che i re, che venivano in questa terra, decidevano di scordarsi della loro lingua per mettersi a parlare napoletano. Perché il dialetto campano era ed è irresistibile.
E’ stata la canzone partenopea a riconciliare il popolo con la borghesia. Ad ispirare l’Opera. A far conoscere al mondo quel magico tratto distintivo che è la napoletanità. Quell’arte speciale di creare. Di inventare ed inventarsi. Riciclare e riciclarsi. Quello speciale modus vivendi che ti  porta a saper ridere e piangere di tutto. Camparsi la giornata. Quel talento invidiabile dei grandi poeti e cantanti napoletani di raccontare i sentimenti. Lo struggimento. L’amore che non passa.
Di quel Salvatore Di Giacomo, a cui è dedicato il premio che ritirerà, Vecchioni intona: “Era de maggio” .
“Era de maggio e te cadéano ‘nzino,
a schiocche a schiocche, li ccerase rosse …”.
Ah potere evocativo delle parole!
Mi sembra di sentirlo il profumo di queste “Schiocche di ccerase”.
Di vederle e di non poter più distogliere lo sguardo per quanto son belle.
Il Professore confessa che la sua canzone napoletana preferita è : “I’ te vurrìa vasà”.
Che c’è tanto di quel sentimento in: “I’ te vurrìa vasà/ma ‘o core nun mm’ ‘ o ddice/  ‘e te scetà …/I’ mme vurrìa addurmì/I mme vurrìa addurmi/vicino o sciato tujo/n’ora pur’ i’…” , che non serve cercare altre parole per dire quanto bene possa passare tra due persone.

Sotto questo palco appoggiato alle stelle, la canzone invece che più di tutte è entrata nel cuore mio è: “Voce ‘e notte”.
Oltre ai versi, sorprendenti e potenti, è la storia di questa composizione che mi fa emozionare.
Edoardo Nicolardi era un poeta. Uno che campava di parole. E si innamorò della sua giovane vicina di casa, Anna Rossi. Come si flirtava a quei tempi? Come si consumava un corteggiamento nei primi anni del Novecento? Beh, con gli sguardi.
Bastava “ na guardata”. Che saziasse il cuore nell’attesa di un altro, furtivo incontro.
Con poche, semplici frasi di cortesia. Mentre si sarebbero volute trovare le parole più belle mai inventate, per dirsi amore e voglia di stare assieme. E invece “tutt’e duje, scurnuse,nce parlàvamo cu ‘o vvuje”. Poi però Edoardo si spogliò di quei panni “scurnusi” e andò a parlare con Gennaro, padre di Anna, per chiederla in sposa. Costui era un freddo calcolatore a cui poco importava dei sentimenti di sua figlia. Gennaro Rossi era un ricco commerciante di cavalli. E avrebbe accolto come genero solo il pretendente che si fosse presentato a lui con una cospicua dote. Così mise subito alla porta il povero Edoardo e si affrettò a trovare un buon partito per sua figlia. Nel giro di due mesi, la piccola Anna, diciott’anni e un cuore puro, si ritrovò sposata con un uomo di settantacinque anni.
Siete mai stati ad aspettare sotto la finestra della persona amata? A vedere se si affaccia? Io sì. Nicolardi sì. E non lo so se ci vai solo per trovarti nello stesso posto in cui batte il cuore dell'amato o con la speranza segreta di vederlo comparire, quel volto che conosci a memoria, da dietro le lastre di casa sua, come una visione. Edoardo ci va tutte le notti sotto la finestra di Anna. Ed una volta davvero gli pare di scorgere l'ombra della donna. Va al Caffè Gambrinus, che affaccia  su piazza del Plebiscito, e scrive di getto i versi struggenti di “Voce ‘e notte”.
“Si ‘sta voce te canta dint’ ‘o core
Chello can un te cerco e nun te dico;
tutt’ ‘o turmiento ‘e nu luntano ammore,
tutto ll’ammore ‘e nu turmiento antico …”.
Gli amori impossibili fanno tremare. E non ci si può rassegnare. Cacciarli dal cuore. Continuare a vivere come se niente fosse.
La storia di Edoardo ed Anna ha un gran bel finale. Dopo due anni di matrimonio, Pompeo Corbera, lo sposo un po’ attempato di Anna, muore. Edoardo la chiede nuovamente in moglie. Stavolta Anna è vedova. Non ha più bisogno del permesso di suo padre per sposare il tenero poeta. Le loro vite si intrecceranno profondamente. Nasceranno ben otto figli da questa unione. Solo la morte li separerà, un po’.
Quindi l’amore vince sempre? E chi lo sa. Certo, Nicolardi, quella notte che tirò fuori dal suo cuore sofferente lo splendore di “Voce ‘e notte”, non immaginava mica che stava dando vita ad una delle più belle canzoni napoletane mai scritte. Così come non sapeva che sarebbero passate quelle notti di struggimento sotto la finestra della donna amata. Che ce ne sarebbero state altre, di abbracci caldi e mai sazi. Forse, visto che poi quell’amore impossibile divenne reale, dovremmo ringraziare quel padre avido, che opponendosi all’amore di un  giovanotto squattrinato, gli mise in petto questo bellissimo madrigale.

Durante la serata, a Vecchioni viene regalata una maglietta. E lui, senza scomporsi un solo istante, si toglie quella che indossa e mette su questa T-shirt con la faccia bella di Massimo Troisi. Questo sì che è un vero, carnale, gesto di napoletanità.
Accompagnato dalla chitarra di Massimo Germini, il cantautore meneghino fa dono alla folla accorsa ad acclamarlo, di alcune delle sue più belle canzoni. Proprio quelle che gli chiede il pubblico. Urlando il titolo di brani antichi mai dimenticati. Come “Figlia” . O “Luci a San Siro”. Mettendogli una richiesta direttamente in mano. Dentro ad un biglietto stropicciato. Scritto da qualcuno che vuole emozionarsi sulle note di “Celia de la Cerna”. E lui, il Professore, mica si sottrae. Si dà. Improvvisa. Da vero napoletano.
A Gianni Simioli, conduttore radiofonico,  il compito di tenere assieme tanto entusiasmo.
Ed è proprio lui a chiedere che tutte le luci del palco vengano spente per un minuto.
Per tirare su gli occhi e guardare le stelle. Siamo ad agosto. Potremmo vederne qualcuna cadere.
E pure se non succedesse, pure se in questo lunghissimo, delizioso minuto restassero tutte lì, attaccate strepitosamente al cielo, tutta la bellezza che c’è quassù, avrà comunque riconciliato col mondo tutti i fortunati presenti.