domenica 21 febbraio 2016

Storia vera di Peppino Nasta scritta da Giovanna Sica e pubblicata su Confidenze tra amiche n. 9 del 3 marzo 2015

-La vita è bella-

La vita è bella perché attorno a me succedono un sacco di cose.
Anche se io sto fermo. Immobile, dalla nascita. 
Però, quando di mattina vengo sistemato sulla mia carrozzella, divento parte del mondo. Non più legno duro, ma fuscello. Fluttuante, anch’io. Come le foglie che s’imbrogliano nei rami prima di farsi portare via dal vento. Indaffarato, anch’io. 
Come quelli che accompagnano i figli a scuola e poi corrono al lavoro. 
Solo che io non ho figli e non ho un lavoro. 
Però dal belvedere della piazzetta vicino casa mia, scoperchio i palazzi perché mi piacciono le storie degli uomini. E poi soffio sulle nuvole, per farle impallidire nei giorni in cui mi rubano il sole. La luce.
La vita è bella perché Carla, mia moglie, sorride sempre. 
Eppure, le prime volte che la incontravo, mi stava proprio antipatica. Io le passavo vicino e quella, beata, mi rideva in faccia. Mettetevi nei miei panni: son permaloso, pensavo ridesse di me, della mia condizione. Poi ho capito che no, non rideva di me: Carla ride e basta. Ha questa cosa che tu la guardi e sulla sua faccia si illumina lo splendore. E non c’è risposta e non c’è rassicurazione che non nasca lì, nei suoi occhi neri cosparsi di pagliuzze dorate. Che esplodono, all’improvviso. Era l’otto agosto del 1991 il giorno in cui Carla diventò la mia fidanzata. Eravamo a Rimini: un gruppo di disabili in vacanza. Lei  se ne stava sempre con le sue amiche. Non riuscivo mai a scorgerla da sola. E invece la mattina dell’otto agosto, alle ore undici -e chi se lo scorda?-  Carla era sulla spiaggia da sola. Eh no, cavolo, era in compagnia di un altro uomo. Il sangue mi andò alla testa. Pensai subito: “E questo mo’ chi è? Non è che me la vuole portare via?”. Furente schiacciai bene il pulsante dell’acceleratore  della mia carrozzella e mi intrufolai in mezzo a loro due. E senza saper né leggere né scrivere, e senza lasciarmi intimorire dal fatto che l’altro, il tipo, fosse “normale”, cercai gli occhi di Carla e le feci la mia dichiarazione d’amore. –Devo riflettere- rispose lei serafica. Ci pensò giusto il tempo che impiegò dalla spiaggia a tornare in albergo. Ci penso un quarto d’ora scarso, il più lungo della mia vita. E poi mi disse di sì. E fece di me un uomo felice. Non avevo però calcolato che, una volta tornati a casa, ci saremmo imbattuti in un sacco di difficoltà per stare assieme. Prima di tutto, ero talmente imbambolato che mi ero dimenticato di chiederle il numero di telefono. Come avrei fatto a rivedere la mia bella?Sono un uomo testardo. Scoprii che Carla andava a fare le sue terapie pomeridiane a bordo di un pulmino che guidava un mio amico. Gli stetti addosso fino a che non mi procurò un recapito. La chiamai una sera e mi rispose sua sorella, dicendomi che non c’era e che mi avrebbe fatto richiamare quando sarebbe rincasata. Passai la serata e il giorno dopo a fissare il telefono. Talmente intensamente che mi sembrava di sentirlo squillare, pure se quello continuava a starsene zitto. Del resto, come avrebbe potuto richiamarmi se non avevo lasciato il mio numero? Così, sul limitare del secondo giorno, telefonai nuovamente io. Stavolta rispose Carla. Chiacchierammo un po’, con le nostre voci rotte dall’ emozione. La mia morosa mi diede il permesso di chiamarla tutte le sere alle otto. Però, mi avvertì che, se ci fossero stati in casa i genitori, avrebbe messo il telefono fuori posto, perché suo papà non vedeva di buon occhio il nostro amore. Non perché non gli piacessi, semplicemente si preoccupava per sua figlia: come avrebbe fatto ad occuparsi di un uomo tetraplegico, lei che era affetta dalla sindrome di Little?Come sarebbe riuscita una coppia, “così ben assortita”, come la nostra ad affrontare gli intoppi che si sarebbero presentati tutti i santi giorni? Non lo sapevo allora e non l’ ho saputo mai lungo i ventiquattro anni che ci hanno visto assieme. So solo che io e mia moglie ci amiamo. Che ogni mattina ci svegliamo vicini, nell’intrico accalorato dei nostri respiri. So solo che la bellezza che vedo intorno a me, è stata lei a mettermela negli occhi. E nel cuore.
Siamo stati fidanzati per dieci anni, vedendoci sempre di nascosto. Avevamo un’amica che ci aiutava. Andava a prendere Carla dicendo ai suoi genitori che la portava a mangiare un gelato. Poi passavano a prendere me. Solo così riuscivamo a trascorrere qualche pomeriggio assieme. Questo avveniva ogni due, tre mesi. E l’attesa fra un’uscita e l’altra era davvero insopportabile. Il dieci aprile del 2001 ci sposammo, senza che mio suocero lo sapesse. La madre e gli zii di Carla vennero al Comune per prender parte alla celebrazione del nostro matrimonio. Si erano convinti che noi non avremmo mai rinunciato a stare assieme. E anche mio suocero, col tempo, smise di osteggiarci. Quando Carla venne a vivere a casa mia, suo papà alle volte si fermava a pranzo da noi. Abbiamo avuto anni felici. Mia moglie dice: -Non son state tutte rose e fiori-. E io le rispondo: -Perché tu conosci matrimoni che son tutti rose e fiori? Almeno noi ci amiamo. Che non è poco-.
Alla mattina viene una persona che mi prende dal letto, mi lava, mi veste e mi mette sulla carrozzella. Dopodiché io e la mia sposa usciamo. Ognuno con la sua “motoretta”. Carla con la sua carrozzella va dappertutto: Posta, supermercato, farmacia. Prima cucinava anche, faceva la lavatrice. Ora non ce la fa più. Ma noi non ci scoraggiamo: abbiamo una signora che viene a pulire. E il pranzo lo ordiniamo tutti i giorni al ristorante. Possediamo un furgone e il Comune di Corbara ci ha messo a disposizione  un autista che, due volte alla settimana, ci viene a prendere, carica le carrozzelle  a bordo e ci accompagna dove vogliamo. Quanto ci piace andare a passeggio sul lungomare di Salerno! Oppure a Mergellina, a mangiare la pizza, mentre il golfo di Napoli si incendia al tramonto sotto i nostri occhi incantati.
La vita è bella perché ha inventato ricami inaspettati alle mie giornate:
e se fossi nato “normale” e poi non avessi avuto in dono l’amore? 
A che mi servirebbe correre, allacciarmi le scarpe e bere da solo, se non avessi Carla che mi danza intorno l’intera giornata?
La vita è bella perché tante persone ci vogliono bene. 
E non importa se ce ne sono state alcune che si sono approfittate della nostra situazione per rubarci qualche soldo. Qualcuno di cui magari ci fidavamo. O quella tizia che, forse per colpa delle unghie finte, s’era sbagliata a dare il resto dei soldi a mia moglie che non può contarli da sola, con le sue mani. Certo, sgraffignare qualcosa a noi è peggio che rubare le caramelle ai bambini.
La mia vita è bella e non pensate neanche per un attimo che mi stia passando davanti senza che io possa toccarla veramente. 
Io la afferro dentro gli occhi miei. La accarezzo con le ciglia.
Franco, un mio caro amico, una volta disse a mia moglie che io la tenevo come una principessa. E lei gli rispose: -Perché cos’hanno le principesse più di me?-.

Niente amore mio. Te lo scrivo qui. Non lo scordare mai: la vita è bella perché io ho te.