venerdì 22 maggio 2015

Mario Cherubini




La prima volta che incontrai Mario, lui per me era solo il papà di Jovanotti. Il Babbo, come lo chiama suo figlio Lorenzo.
Era settembre di due anni fa, quando io e Christian, mio marito, decidemmo per una gita a Cortona. Beh, Cortona era la destinazione fittizia; quella vera era casa di Jovanotti. Avevamo pensato che se Lorenzo stava a casa sua, magari, con un po’ di fortuna, saremmo riusciti ad incontrarlo. E così, con un’ incredibile faccia tosta, ci arrampicammo fino al poggio che portava alla sua villetta, con nostro figlio di otto anni e mezzo. E lui oltre ad affacciarsi alla finestra, come canta nella sua famosissima Serenata rap,  varcò il cancello della sua abitazione e venne a salutarci. Ora, non dico che venne fuori proprio per noi; era con sua figlia Teresa, stavano uscendo in moto. Però noi eravamo lì, e potemmo abbracciarlo, fare le foto, qualche veloce domanda e consegnargli una lettera d’amore (ne ho sempre qualcuna con me).
Quando un sogno ti si materializza in mano, perdi tutte le parole …
Credo che mio figlio, quando sarà grande, ripenserà con gioia a questa giornata in cui i suoi due folli genitori l’hanno trascinato in cima ad un poggio. Davanti alla casa di Jovanotti. E non eravamo più una madre, un padre e il loro bambino, ma tre ragazzini alla gita della scuola.
Così scrivevo sul numero 40 di Confidenze del 2013; la mia gita a Cortona diventò un racconto.

Lasciammo casa di Jovanotti che quasi non sentivamo più la terra sotto ai piedi. Mio figlio continuava a ripetere: -E’ altissimo, è fichissimo! E poi ho toccato anche la sua moto-. Io pensavo: “Chissenefrega della moto, io ho toccato lui!”. Solo che, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare se l’avevo baciato. Anche mio marito asseriva piccato che l’avevo baciato, eccome. Dopo l’entusiasmante incontro col ragazzo fortunato, scendemmo in piazza della Repubblica e ci recammo alla bottega di Mario Cherubini, che, con la fortuna sfacciata che tenevamo addosso quel giorno, era proprio sulla porta, ad aspettarci. Con frenesia gli raccontammo della nostra folle sosta sotto casa del suo ragazzo. Lui ci ascoltava e sorrideva. Poi fu lui a parlarci di sé, della sua famiglia, di questo figlio che cantava Io penso positivo e che da piccolo era introverso e sognatore.
Lui parla, noi lo ascoltiamo incantati. Con il pensiero torno a quella canzone di tanti anni fa: Mario. Quella canzone in cui Lorenzo raccontava che suo padre l’aveva portato ai funerali degli agenti della scorta di Moro: -Forse il centro di tutto è quella mano che mio padre mi appoggiò sulla testa, questo è quanto mi resta, un ricordo profondo grande come il mondo. Questo gesto che mio padre ebbe il cuore di fare, questo gesto d’amore mille volte più potente di un pugno in questa notte di giugno in cui scrivo mi fa essere vivo, pronto ad essere padre a mia volta-. Mario, come posso spiegarti che negli anni in cui io crescevo , questa tua mano me la sono immaginata mille volte. E ora eccola:è ancora grande, ancora forte. La stringo nelle mie. Sarei rimasta qui tutta la vita a sentirti parlare. (Confidenze, N.40, 8 ottobre 2013).
A febbraio di quest’anno, io e mio marito siamo tornati  a Cortona. Stavolta, per la prima volta, senza bambini. L’occasione: il Cortona mix Festival, assistere da un palco del Teatro Signorelli allo spettacolo di Roberto Vecchioni. Il cantautore meneghino, da noi molto amato, ci avrebbe regalato canzoni e parole del suo ultimo libro, Il mercante di luce. Una serata bellissima, intensa.

Il vino e le bruschette al Caciobrillo, proprio in piazza della Repubblica, e il ritirarci a piedi in quel b&b, Pane e vino, in cui avremmo voluto dormire già la prima volta che eravamo andati a Cortona. Sì, quello che prometteva la colazione con prodotti biologici che io aspettavo di assaporare da un anno e mezzo e a cui, nella prima gita, avevo rinunciato per non lasciare i bambini dai nonni.

Ecco, più che la marmellata di fichi, che pure si rivelò buonissima, io sapevo che all’indomani ci aspettava un altro emozionante appuntamento: la bottega di Mario. E stavolta non fu nemmeno necessario spiegargli alcunché. Ci mettemmo a parlare con una disinvoltura straordinaria. Con mio enorme rammarico, scoprii che non aveva mai ricevuto la copia del Confidenze in cui c’era il mio racconto A casa di Jovanotti, eppure un ristoratore di Cortona mi aveva promesso che gliel’avrebbe consegnato. Gliene lessi un pezzetto, e lui si commosse, soprattutto nella parte in cui parlavo di lui …
L’incontro con Mario mi dà quasi più gioia di quello con il figlio, se è possibile. Quest’uomo fantastico che mi trovo di fronte deve avere quasi ottant’anni ed è di una bellezza incredibile. E’ alto e maestoso, come una montagna. Ha l’azzurro negli occhi e la luce nel sorriso.
Passammo l’intera mattinata a chiacchierare. Il suo computer era aperto sulla pagina di un blog in cui si parlava di suo figlio e del nuovo album Lorenzo 2015 cc, ricordo ancora il titolo del post, Perché Jovanotti spacca, -tredici pagine, vi rendete conto- continuava a ripetere Mario, -non ce la farò mai a leggerlo tutto!-.

E poi ci raccontò dei suoi cinquant’anni al Vaticano. Di come fosse diventato per caso un gendarme dello Stato Pontificio. Ci parlò dei papi che aveva conosciuto,  e si vedeva che era molto orgoglioso del suo lavoro-.  –La sua vita è molto interessante, Mario. Le va se le scrivo un articolo per la rivista con cui collaboro?- azzardai sull’onda dell’entusiasmo. –Ne riparliamo la prossima volta che tornerai a Cortona. Ti vorrei regalare un bel rosario che ho a casa, perché sei una bella tipa, Giovanna – si complimentò il Babbo, con quella sua voce che teneva tutte le cose dentro, un po’ ingarbugliate, ma che poi venivano fuori chiarissime, come per magia.  –Ora dobbiamo proprio andare, Mario. La prossima volta che ci incontreremo, accetterò volentieri il suo regalo-. Intanto arrivò pure Felice, la persona che lo aiutava per le incombenze quotidiane. Proprio quella notte aveva soccorso Mario che era caduto in casa, senza farsi nulla di grave, per fortuna.
Diciannove aprile 2015. Una giornata di lutto nero: un barcone di migranti naufraga nel canale di Sicilia. Si parla di settecento morti. Sono talmente presa dalla mattanza che non sento e non vedo nient’altro. Passo ore a telefono con un militare della GdF che ha fatto parte per dodici anni dell’operazione Mare Nostrum, per scrivere subito un articolo. Ho una sola ossessione quella domenica: raccontare la disperazione dei migranti ammucchiati fra quelle lamiere arrugginite, buttati in mezzo al mare.  Solo nel pomeriggio vedo che la mia bacheca fb è piena di link con cui le mie le mie amiche lettrici cercano di mettermi al corrente di un’altra disgrazia: è morto Mario. Loro sanno delle mie visite al Babbo; avevo postato pure la foto della crostata alla nutella, con tanto di dedica Grande Mario, che avevo mandato al signor Cherubini dopo il nostro secondo incontro, insieme alla famosa copia del Confidenze che non aveva mai ricevuto. Lui era stato felice della sorpresa.

Grande Giovanna!, aveva scritto in un messaggio, ringraziandomi. Si era fatto una foto con la torta e l’aveva messa sulla sua pagina fb, con l’entusiasmo di un ragazzino. Mario non c’e più.  Non ci sarà una terza volta, quella in cui mi avrebbe regalato il rosario. Non ci sarà mai quell’intervista in cui, forse, mi avrebbe raccontato cinquant’anni di Vaticano visti dai suoi grandi occhi azzurri; ma, sia chiaro, solo cose risapute, che si potevano dire, di certo non mi avrebbe svelato i segreti dei papi, lui che aveva fatto giuramento di non portare mai fuori da quelle mura ciò a cui aveva assistito. E, se li è portati con sé Mario, nel posto in cui ora si trova, quei fatti della Chiesa che mai avrebbe tradito.
Sono io invece che mi sento tradita, dalla vita e dalla morte che decidono per noi e se ne fregano dei discorsi, dei pensieri e dei sogni che noi stavamo ricamando per i nostri giorni a venire. Io che ho dovuto mettere la distanza di un mese fra me e il giorno in cui Mario se n’è andato, perché subito, non sarei mai riuscita a cacciar fuori queste parole. Mario che la prima volta era solo il papà di Jovanotti, la seconda divenne Mario e basta. Un uomo meraviglioso. Col candore di un bambino. Che mi ha raccontato di sè, della sua famiglia, come se non fosse pienamente consapevole di essere il Babbo nazionale. O forse, dall'alto dei suoi ottantun'anni, a Mario bastava guardarle in faccia le persone per capire se si poteva fidare.

Mario,
ovunque tu sia, sappi che le tue confidenze resteranno gelosamente custodite nel mio cuore. Per sempre! La tua bella tipa! :) 

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