“Covid e
altri impazzimenti” di Giovanna Sica
Il Covid mi
ha raggiunto nello spazio stretto di un camerino in cui stavo misurando un paio
di pantaloni. In una gamba avevo i pantaloni miei, nell’altra quelli nuovi. Ha
squillato il cellulare. Due volte. Il cellulare era nella profondità oscura
della borsa. Avevo le mani impegnate, la mascherina spiaccicata sulla faccia.
Non riuscivo a trovarlo, ma quello non smetteva di suonare. “Sono positivo”.
“…”. “Hai capito?”. “Arrivo”. “Signora, vuole vedere anche un cardigan da
abbinare su questi pantaloni?” echeggia da lontano la voce della commessa. E
come glielo spiego, adesso, a questa gentile signorina, che vorrei lasciarle
qui pure i pantaloni che fino a due minuti fa mi piacevano tanto? “No, devo
andare, mi faccia pagare, per favore”. Pago e dall’ansia che mi è salita faccio
cascare l’aggeggio del bancomat. Mi scuso. Esco dal negozio e realizzo che mi
illudevo che a noi non sarebbe successo, ché siamo stati sempre tanto attenti e
rispettosi delle regole. Realizzo che ho paura perché il Covid fa paura, anche
dopo due anni e i vaccini. Che beffa. Mio figlio aveva la terza dose dopodomani.
Non l’aveva ancora fatta perché stavamo aspettando che passasse del tempo dalla
seconda dose di vaccino contro il Papilloma virus, ché quando ho scoperto che si
possono vaccinare anche i maschi contro il Papilloma (anche i maschi che per
età il vaccino non glielo passa l’ASL, alla piccola -si fa per dire- cifra di
210 euro in tre comode rate), ho pensato che era giusto immunizzare contro il
Papilloma anche il Diciassettenne. Raggiungo mio figlio, al netto del mal di
schiena e un po’ di spossatezza, sta bene. Non ha febbre. Un pensiero cattivo
mi fa subito un calcolo a mente che nessuno gli ho chiesto: son passati più di sei
mesi dalla seconda dose, chissà se il ragazzo ha ancora gli anticorpi o è
completamente indifeso contro Omicron. Sdrammatizzo col Positivo e ce ne
andiamo subito a casa. Lui si va a barricare in camera sua, io provvedo a
mettere da lavare i suoi panni e tutto ciò che ha toccato negli ultimi giorni.
Scende una prima notte che mi scopre a guardare il soffitto. Non voglio abbandonarmi
al sonno, ho paura che succeda qualcosa a mio figlio mentre io dormo. Il
secondo giorno arriva il mal di gola. Informo il medico di base via Whatsapp
che da questo momento inizia a seguirlo. Il terzo giorno sopraggiunge la tosse.
La tosse mi fa paura, ma, ringraziando Dio e il vaccino, dura solo tre giorni.
Il quarto giorno c’è un gran sole. Ne approfitto per pulire e disinfettare con
più enfasi. Mi manca giusto scrostare i muri e poi posso dire di aver sanificato
ogni angolo dell’appartamento. Il pomeriggio del quinto giorno porto a fare il
tampone alla figlia undicenne che torna a scuola dopo 14 giorni di Dad, dovuti
alla positività di due compagni di classe. Già che son qui, già che ho fatto la
fila, quasi quasi un tampone lo faccio anch’io (lo avevamo fatto anche il
giorno dopo che era risultato positivo il Diciassettenne, ormai viviamo sotto
lo strozzo della farmacia) ché mi pizzica un po’ la gola; sicuramente dipende
dal fatto che ieri sono stata tutta la mattinata al vento e al sole, e comunque
nessuno mi obbliga: lo Stato ha decretato che io e mio marito, che abbiamo
fatto anche la booster, dobbiamo solo praticare l’auto-sorveglianza e
continuare a indossare la Ffp2. E se invece fossi positiva anch’io? Come faccio
a mandare mia figlia a scuola con questo dubbio? Negativa mia figlia, positiva
io. Meno male che ho seguito il mio istinto. La preoccupazione per la mia carne
non è certo quella che ho provato per mio figlio; e poi io ho fatto la terza
dose, 10 giorni fa. Non posso finire in terapia intensiva. E soprattutto non
posso morire. Sono preoccupata invece per la Undicenne, a questo punto potrebbe
positivizzarsi pure lei, e anche se ha completato la copertura vaccinale,
vorrei proprio che se lo risparmiasse. Siamo in pareggio nella mia famiglia:
due positivi e due negativi. Dobbiamo isolarci tutti, neanche i due negativi
possono più stare assieme, adesso ognuno di noi deve giocarsi la sua partita, e
speriamo che non vinca il nemico. Io lamento mal di gola e un po’ di febbre, i
primi tre giorni. Poi solo spossatezza, raffreddore, sintomi tipo influenza,
che se non fosse che il Covid ha fatto quello che ha fatto negli ultimi due
anni, non sarebbe niente di che; insomma, le pareti di casa mia hanno visto influenze
molto più toste, con febbri a 40° che bruciavano sulla fronte dei figli, che si
son portate via un bel po’ della mia salute. Continuano i lunghi scambi
epistolari col medico di famiglia. Se conto le battute, sono sicura di aver
scritto di più a lui negli ultimi 13 giorni che a mio marito, in vent’anni che
stiamo assieme. E mentre Mahmood e Blanco cantano “A volte non so esprimermi”, penso
che io invece so esprimermi benissimo, con dovizia di particolari, ed è una fortuna,
considerato che solo a parole posso spiegare tutti i sintomi alla persona che ci
sta curando a distanza, persona che se mette assieme tutti i miei Whatsapp
può pubblicare per me il mio secondo romanzo. Devo dire che il dottore, Giovanni
Brengola, a questo punto mi pare cosa buona e giusta citarlo con nome e cognome
e ringraziarlo, mi risponde sempre. E se all’inizio mi pare brutto disturbare
la sera o di domenica, poi succede sempre qualcosa su cui voglio confrontarmi
con lui, e lui, puntuale e disponibile, mi scioglie ogni dubbio. Meno male che leggo
e scrivo, sennò come mi passerebbe il tempo stipata nella mia cameretta? Meno
male che è la settimana del Festival e della leggerezza sanremese. Peccato che
devo stare lontano dalla ragazza mia. Il nostro rituale della sera prevede che
ce ne stiamo avvinghiate nel lettone a vedere le nostre fiction del cuore, e lo
stesso facciamo ogni anno con Sanremo. Quest’anno ci arrangiamo a stare assieme
in video chiamata. Chiedo a mio marito di sbloccare le limitazioni al cellulare
della Undicenne, per il fine settimana, chè io e lei abbiamo un Festival da
seguire e possiamo farlo solo via Whatsapp. Mi fa una grande tenerezza Bianca,
la mia adorata cagnolina, che non si capacita che non faccio entrare neanche
lei in camera mia. Fa il giro del balcone e viene a fare la laconica davanti alla
mia porta finestra. A volte faccio pensieri scemi, soprattutto quando cala il
buio e non ci sono manco più gli alberi e i passanti in strada a farmi
compagnia. Tipo che è colpa mia che io e mio figlio ci siamo presi il Covid,
visto che qualche giorno primo ero andata a comprare per me e lui i pigiami
nuovi, et voilà: ci sono serviti subito. Ma il pigiama, poi, l’ho preso
anche al marito, ora che ci penso. Si positivizzerà anche lui? Ma no, gli
AstraZeneca+Pfizer sono i più forti di tutti. Comunque non ho perso l’olfatto,
l’odore del soffritto del coinquilino adulto si spande in tutta casa e si
infila pure sotto la mia porta! E pensare che nella mia vita da negativa l’olio
evo non s’è mai arricciato in una mia padella! E che ai figli al pomeriggio
preparavo delle gran tagliate di frutta fresca e secca per mantenerli in buona
salute (comunque alla merenda sana sta continuando a provvedere il papà). Ma
veniamo al rapporto con l’USCA, cioè il rapporto che una famiglia come la mia, spaccata
in due dal Covid, dovrebbe avere con le Unità Speciali di Continuità
Assistenziale, create appositamente nel marzo 2020 per gestire a domicilio i
pazienti sospetti o accertati Covid-19 che non necessitano di ricovero
ospedaliero. L’USCA si è palesata nelle nostre vite -dopo 9 giorni dalla
positività accertata di mio figlio- con una telefonata in cui chiedeva al
ragazzo se il tampone di controllo io e lui preferivamo farlo assieme l’8
febbraio (due giorni prima per me, che ci poteva stare visto ché nel frattempo
un nuovo decreto aveva accorciato la durata dell’isolamento) o il 10 (due
giorni in più di reclusione per lui, che quando hai 17 anni e stai chiuso nella
cameretta da 10 giorni equivalgono a due anni). A parte il fatto che uno si
chiede come mai L’USCA contatti un minorenne per discettare su tali questioni e
non la sua genitrice, tra l’altro positiva pure lei, ma, poi, nonostante il
minorenne e il padre del minorenne, che interviene nella conversazione, diano
la migliore risposta possibile: “Chiedete a mia madre, chiedete a mia moglie”,
l’Unità Speciale torna a eclissarsi nel buio da cui era emersa. Cerco i numeri
telefonici dell’USCA, passo solo -si fa per dire- due ore e quaranta della mia
vita a tentare di richiamare, ma ahimè, è più facile parlare col Padreterno che
con l’USCA. Eppure non siamo più nel vortice di fine anno scorso, il numero dei
contagi è calato. Tant’è. Mi piglia una crisi di nervi. Ma poi mi ricordo che
devo stare calma, respira Giovanna, respira profondamente e medita ché se ti
viene il sangue amaro ti si abbassano le difese immunitarie e Omicron ti mangia
in testa. Optiamo ancora una volta per un tampone a pagamento per mio figlio. Negativo,
evviva Dio. Giorno successivo, tampone, sempre a pagamento, per la Undicenne. Negativo.
Evviva evviva evviva. I miei figli tornano a scuola, sono felice. Io resto
nella mia cameretta, e sento che adesso sono davvero sola. Il nemico secondo me
se ne è andato. Ma non posso esserne certa fino a dopodomani che farò un altro
tampone, il primo, seddiovuole, a cui provvederà l’USCA. Al netto della paura, dei
sintomi influenzali, dell’esaurimento nervoso e di una barca di soldi in
tamponi, integratori e antinfiammatori, sto bene. Stiamo tutti bene. Grazie ai
vaccini ce la siamo cavata a buon prezzo. A chiusura di questo racconto, anche
esilarante, ma che dice molte cose a chi le vuol capire, non posso non dedicare
un pensiero a tutti quelli che hanno perso la vita a causa di questo maledetto
virus. E anche a tutti quelli che hanno perso una persona cara senza averla
potuto nemmeno accompagnare nell’ultimo viaggio.
Vi
abbraccio, forte, chè nel frattempo di sicuro mi sono negativizzata.
P.S. E
invece sono ancora positiva, o almeno lo ero fino a tre giorni fa che ho fatto il
tampone con l’USCA. E dopo 26 ora circa ho ricevuto il tanto sospirato risultato.
Purtroppo non quello sperato. A questo punto posso decidere di continuare la
reclusione in cameretta per un’altra settimana (più un giorno o forse due per
aver l’esito, l’USCA si prende fino a 48 ore per comunicarmelo) e rifare il
tampone molecolare, oppure recarmi in farmacia e praticare quello antigenico il
cui esito, che arriva di solito in mezz’ora, è equiparato a quello molecolare,
sia per decretare la guarigione sia per riattivare il Green Pass, il
tutto al piccolo -si fa per dire- prezzo di 15 euro. Bah, sarò io che sono
offuscata dal raffreddore persistente e da Omicron, ma mi viene spontaneo
chiedermi: perché non provvedono le ASL ai tamponi antigenici snellendo le
quarantene, e non facendo perdere più tempo -e soldi- del necessario alle
persone già provate dal Covid e dall’isolamento fiduciario? Se non avessi
provveduto a fare i tamponi in farmacia ai miei figli, avrebbero perso altri
giorni di scuola in presenza, e i discenti, soprattutto quelli campani, banchi,
lavagne e facce dei compagni di classe, negli ultimi due anni li hanno visti
solo attraverso uno schermo. E se io proprio non avessi potuto permettermeli i test
a pagamento? Mi sa che li investo altri 15 euro in un altro tampone antigenico,
sperando che sia l’ultimo, non è concepibile pensare di stare altri otto giorni
in isolamento: che valore ha il mio tempo per chi mi governa? E poi, i due
infermieri che si alternano nella farmacia in cui vado di solito sono
gentilissimi e ti passano con estrema delicatezza solo la punta dell’asticella
nella narice, tipo cotton fioc. E non è vero che se non ti arrivano al
cervello il Covid non lo sbugiardano. Il giorno che son risultata positiva,
l’infermiere mi aveva fatto solo un piccolo giretto nella parte più esterna
delle narici, e, dopo 10 minuti, ero ancora lì a comprare la Vitamina C e altri
integratori, la farmacista mi ha chiamato in disparte e mi ha comunicato
l’esito.
E quindi anche
sabato e domenica stipata nella cameretta, vado a fare il tampone domani, lunedì 14
febbraio, San Valentino, sperando che Amore mi strappi di dosso -per sempre- questo
fottutissimo figlio di puttana (scusate il francesismo in chiusura).
Cara Giovanna sei straordinaria . Domani andrà tutto bene .
RispondiEliminaCarissimo/a amico/a di cui non mi compare il nome, grazie di cuore dell' incoraggiamento. Ti abbraccio ❤
EliminaGrande Giomammina!!!
RispondiEliminaCi riabbraccerremo presto e saremo più belli di prima!!!
Sì,speriamo davvero sia finita per me e per tutti noi...��
EliminaCiao Giovanna, e' il racconto di un vissuto positivizzato dal Covid. Andrà tutto bene per tutta la tua famiglia. Un abbraccio Teresa
RispondiEliminaGrazie Teresa, un abbraccio a lei...❤
EliminaMia cara Giò, spero che il risultato sia quello sperato e che tu possa riassaporare la "libertà". Mi hai fatto ridere ma a denti stretti stavolta. Ti abbraccio forte e andrà tutto bene. ❤️💋
RispondiEliminaAngela carissima, volevo anche far ridere, ma, soprattutto, volevo far sì che la mia esperienza da personale diventasse universale, ossia potesse essere un manto per tutti quelli che hanno provato lo stesso senso di impazzimento e noncuranza da parte delle Istituzioni. Ti abbraccio forte ❤
EliminaBuona guarigione cara Giovanna, un grande abbraccio!
RispondiEliminaGrazie Lory! Ti abbraccio forte ❤
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