“Era il 26 agosto 2024, resisteva un caldo torrido, da questa parte del pianeta Terra, e due giovani, folli e innamorati o, semplicemente, follemente innamorati, stavano convolando a nozze sante e giuste. Una farfalla blu disegnava figure incomprensibili nell’aria, davanti alla Chiesa Santa Maria di Costantinopoli di Nocera Superiore, mentre uno sposo spavaldo, di nome Giovanni, teneva banco, perfettamente a suo agio, dentro il suo splendido vestito blu. Eh sì, proprio come se il fatto (che da lì a poco si sarebbe trovato una fede luccicante all’anulare sinistro) non fosse il suo, il giovane uomo pianificava cose col prete, accoglieva i suoi invitati, abbracciava gli amici e smistava sorrisi e indicazioni in tre lingue: italiano, inglese e napoletano. Giovanni si sentiva talmente a suo agio nell’attesa del Sì, Lo Voglio, che, a un certo punto, ritenendo che il corridoio centrale della chiesa non fosse abbastanza largo, pensò bene di spingere i banchi di lato, facendosi aiutare dai suoi amici, proprio come un padrone di casa che sposta i mobili nel suo salotto. Ma a quel punto intervenne il padrone vero, il parroco, don Raffarle, che tuonò dolcemente: "Giovanni, la sicurezza, non esageriamo!". Ma Giovanni, che sapeva bene come si dà una botta al cerchio e una alla botte, rispose prontamente: "Certo, don Raffaele, la sicurezza, ci mancherebbe!" ed esortò i suoi compari a spingere nuovamente i banchi verso il corridoio centrale, di almeno 10 centimetri abbondanti.
Lui così grande e lei così piccola, eppure era lui quello da rassicurare, fra i due, e Stefania lo fece. Lì, sull’altare di Dio, e tutte le volte che quel giorno Giovanni ne ebbe bisogno. Alla sposa piccolina, ma forte come una roccia, bastava guardare dritto negli occhi il suo uomo e passargli una mano sul viso, raccoglierlo tutto in una carezza, come a dirgli: "Amore mio, va tutto bene, lo vedi che sono qui per te, e sempre al tuo fianco mi troverai". Intanto, il prete, che sapeva fare il suo mestiere, fece partire la cerimonia, dosando bene ironia, consigli su come far funzionare un matrimonio (che atto di fede, prenderli per buoni, considerato che arrivano da uno che non si è mai sposato!) e insegnamenti di nostro Signore. "Ho già celebrato le nozze delle due sorelle della sposa, con Stefania abbiamo finito o ce ne sono ancora altre da maritare?" butto lì don Raffaele, per strappare una risata. "Niente vale a questo mondo e niente dura senza amore" sentenziò, poi, per invitare a riflettere sulla sacralità del rito che stava celebrando. La farfalla blu continuava a svolazzare di qua e di là, leggera, impercettibile. Si adagiò su una rosa bianca, vicino al leggio dorato, quando Marilina, cugina di Giovanni, si fece coraggio e messaggera della sua famiglia, e lesse una lettera agli sposi da parte di Anna e Sabato, genitori dello sposo, ché mamma Anna voleva fortemente fare gli auguri a suo figlio e sua nuora da parte sua e di suo marito, così come insieme a lui aveva fatto tutto, per tutti gli anni che erano stati assieme ...
"E il vero amore può nascondersi, confondersi, ma non può perdersi mai.
Sempre e per sempre, dalla stessa parte, mi troverai. Sempre e per
sempre, dalla stessa parte, mi troverai". Sempre e per sempre, F. De
Gregori.
Marilina, ambasciatrice del senso di famiglia dei suoi zii, fece molta fatica a leggere, prima Se (Lettera al figlio) di Rudyard Kipling e poi Sempre e per sempre di Francesco De Gregori; rovesciò sopra i suoi fogli tutta la sua commozione, incespicò su alcune frasi dure a tirare fuori. Annaspò, tremò, cercò un respiro profondo, non si fermò, pianse, eppure spinse il cuore fino all'ultima parola. Sabato, papà di Giovanni, era morto da quasi tre mesi. Con poco preavviso e tanto dolore, lasciando dietro di sé un vuoto che i suoi cari avevano deciso di riempire con i suoi insegnamenti. I suoi sorrisi abbozzati, i momenti belli condivisi e quelli che sarebbero venuti dopo di lui, come quello del matrimonio del suo secondogenito, tenendolo stretto in mezzo a loro, perché quelli a cui vogliamo veramente bene non muoiono mai. Giovanni tremò ascoltando le parole di sua cugina, ma non cadde giù, c'era sua moglie al suo fianco che, prontamente, gli mise in faccia una carezza, e lui con lei vicino, con quella mano sulla sua faccia, aveva perfino il potere di trasformare il vuoto lasciato da suo papà in nuova amorevole presenza, nuove sistole e nuove diastole che mantengono caldo il sangue del mondo e riconsegnano la vita ai vivi, chè la vita è più forte della morte, sempre.
Poi l' atmosfera tornò leggera, il coro composto da amici degli sposi riprese
il suo canto e Sabatino, il nipotino che si era presentato al matrimonio col
vestito buono e una lavagnetta con su scritto: "Scappa ora o amala per
sempre" aveva lasciato che quella scritta scolorasse ai piedi di uno
scranno, chè tanto non c' erano mai stati dubbi sulle intenzioni dello zio. Tre
splendide donzelle, Rosa, Lucia e Alessandra fecero un cuore col riso davanti
al portone della chiesa, e tutti si misero in fila per conquistare una granita
e un po' di refrigerio in qualche anfratto all'ombra, non prima di aver
lanciato riso e sorrisi a Giovanni e Stefania. Lo sposo gigante ammantava col
suo corpo e col suo amore la sua sposa piccina, in una luminosa cornice di
fiori, auguri, flash dei ben quattro fotografi e scintille, che partivano dai
vestiti delle signore e riverberavano nel sole cocente di un'estate, che
proprio non ne voleva sapere di cedere lo scettro all’autunno imminente.
Per i festeggiamenti gli sposi e la carovana di invitati si
spostarono a Mirabella di Avellino, in una splendida residenza, Villa Orsini, che
nel XVIII secolo era stata la casa dei principi Orsini. Si accomodarono
all’aperto, sotto ai gazebi da cui la vista spaziava sul verde lussureggiante
che circondava la tenuta. Il direttore di sala, Antonio Salvatore, e tutto il
suo staff, sembravano avere un solo intento: far star bene i loro ospiti,
coccolarli con cose buone da mangiare, da bere e da godere. E non c’era
imprevisto che potesse coglierli impreparati: arrivò la pioggia e loro avevano
pronti gli ombrelli, bianchi, con tanto di ricamo di pizzo sull’orlo. Più che
un pranzo di nozze, quello di Stefania e Giovanni fu un percorso esperienziale:
dopo il piacevole benvenuto con spritz e finger food, furono servite in
giardino ben cinque goduriose pietanze. Seguì una gita nelle segrete cantine
del castello, per degustare formaggi, salumi e vino Taurasi. Il pranzo, vero e
proprio, fu apparecchiato in una sala raffinata dalle ampie vetrate, che davano
su un cielo che cominciava a rosseggiare, chè intanto che arrivò la pasta, si
era fatta quasi ora di cena! La farfalla blu non era mica sparita con la
pioggia, s’era solo nascosta un po’, ma, adesso aveva ripreso la sua danza,
posandosi su tutti i fiori posizionati al centro dei tavoli, con tanto di
stemma dei più bei quartieri di Londra. Londra era ovunque: sul libretto delle
preghiere in chiesa, nei segnaposto, nel tabellone nuziale.
Londra era diventata casa degli sposi nel 2018…
Giovanni e Stefania stavano assieme da tre anni, quando decisero
di trasferirsi a Londra. L’idea era quella di fare esperienza, imparare
l’inglese, così da continuare a lavorare nella ristorazione, ma con gli
strumenti per farlo in Costiera Amalfitana. Poi, però, nonostante le difficoltà
iniziali, Londra era entrata nel cuore dei due fidanzati, così avevano deciso
che lì avrebbero strutturato il loro futuro. L’occasione di mettersi alla prova
arrivò due anni dopo, con il Covid; i ristoranti erano chiusi e bisognava stare
a casa. Ma Giovanni e Stefania a casa, nella loro cucina, avevano un mondo buono,
buonissimo, da portare fuori: sapevano sfornare un sacco di pietanze gustose, e
allora, appena fu possibile, cominciarono a preparare piatti su ordinazione.
Diventarono imprenditori di loro stessi, crearono un loro brand “AZZ, taste of
Amalfi”, conquistarono ben due postazioni dove esporre i loro manicaretti…
Il clima di festa al matrimonio di Giovanni e Stefania lo potevi
annusare nell’aria come un potente fascinoso profumo. Si aprirono le danze, e
gli sposi danzarono abbracciati allo stesso ritmo, seguendo lo stesso battito
come se il cuore fosse lo stesso. Giovanni ballò con mamma Anna e Stefania con
papà Vincenzo, poi scesero in pista tutti, parenti e amici. Gli amici venivano
da ogni parte del mondo e tutti erano palesemente felici di essere lì.
Agostino, che aveva fatto da testimone agli sposi insieme a sua moglie Lucia,
era orgoglioso di esser stato scelto per un ruolo così importante, quello di
vegliare sul matrimonio del suo amico. “Conobbi Giovanni quando venne a fare il
cameriere nel ristorante Famiglia Principe; ci piacemmo subito, insieme facemmo
la dieta e io, a modo mio, cercavo di rassicurarlo sul fatto che era una
persona bellissima, chilo più, chilo meno. Lui s’affezionò tanto a me, e pure
se allora non c’aveva manco la fidanzata, giurò che io sarei stato il suo
testimone di nozze, ché poi la fidanzata sarebbe arrivata. Cominciò a chiamarmi
compare, il mio compariello, e io ero onorato del suo affetto, che
contraccambiavo pienamente. La fidanzata poi arrivò, ma, dato che qualche anno
dopo se ne erano andati a vivere a Londra, non ero più sicuro che sarei stato
io il suo testimone di nozze. E invece Giovanni, quando è venuto a invitarmi al
suo matrimonio, ha detto solo che mi dovevo fare un bel vestito, visto che ero
il suo compare, come se mai fosse stata messa in discussione quell’antica
promessa. Giovanni è la persona più bella che io abbia mai conosciuto”. Anche
la sposa aveva amicizie consolidate, addirittura quella con Gerarda era
cominciata quando avevano solo 3 anni. “Io e Stefania ci siamo spartite tutto:
i primi giochi, l’asilo, la scuola. I primi batticuori, le scelte per il
futuro. Per me è stata una gioia partecipare al suo matrimonio e a tutti
preparativi; il momento in cui mi sono emozionata di più è stato l’altro ieri,
quando Giovanni, dentro a un cuore le ha cantato All of me di John Legend…
“Cause all of me loves all of you, love your curves, and all your edges, all
your perfect imperfection…”.
Le sorelle della sposa, a cui aveva fatto cenno il prete in
chiesa, erano contente che anche Stefania fosse convolata a nozze. Valeria, la
prima, aveva portato in dono al matrimonio della sorella l’invitato più piccolino,
il suo bimbo di appena un mese, Leonardo Mario, che le dava un bel da fare, ma
poteva contare sull’aiuto incondizionato di Vincenzo, suo marito. Roberta, la terza,
anche lei accompagnata da marito e figlioletta, Chiara, raccontava a Noemi, la
fidanzata di Cosimo, il fratello di Giovanni, che gli sposi si erano conosciuti
proprio grazie a lei, ai tempi in cui lavorava nella cucina del ristorante
Famiglia Principe. “Una sera, i miei genitori e Stefania vennero a cena al
ristorante per salutarmi, e quella sera avvenne il fatidico incontro, dato che
anche Giovanni lavorava lì, era l’estate del 2014…”.
Esattamente dieci anni fa un giovane cameriere si ritrovò in sala
una splendida ragazza mora, dallo sguardo intenso.
I due si guardarono di sottecchi.
Si rividero ancora, quell’estate, a Marina di Vietri sul Mare, dove i ragazzi
del ristorante erano soliti andare nel giorno di chiusura. E poi successe che
arrivarono quell' anno, come ogni anno, le feste di Natale e Roberta invitò
tutti i suoi colleghi a giocare a carte a casa sua. Giovanni e Stefania si
scambiarono qualche parola, ma fu solo a metà febbraio dell’anno nuovo che
uscirono insieme da soli per la prima volta. E aspettarono il primo giorno di
marzo per mettersi finalmente assieme: dopo un film al cinema, che era già una
dichiarazione di intenti, e tre "Adesso vado" di Stefania, sotto casa
sua, Giovanni prese il coraggio a due mani e baciò la ragazza di cui si era
innamorato. Tutto il tempo e lo spazio che vennero da quel momento in poi fra
di loro furono vissuti alla prima persona plurale NOI...
Tornando al giorno delle nozze, ritrovai la farfalla blu, la riconobbi subito, anche se lei si era andata a posare su un'opera di ceramica, in mezzo ad altre farfalle, finte, ma lei era vera e appena mi vide riprese il suo volo, c'erano altre facce da esplorare da vicino, storie e aneddoti che qualcuno doveva ascoltare e poi scrivere affinché non si perdessero. E allora la mia farfalla guida mi spinse a fare una chiacchierata con Antonio, di anni 93, nonno paterno dello sposo. Antonio era un uomo lucido e autosufficiente. "Son contento che Giovanni si è sposato, è un bravo ragazzo, come i suoi fratelli e tutti i miei nipoti. Antonio, il fratello più grande di Giovanni, porta il mio nome, l'ho cresciuto io; i suoi genitori avevano una salumeria, e lui stava con me; gli cambiavo il pannolino, gli facevo da mangiare. Eh, la mia vita è stata lunga e ho avuto le mie disgrazie, mi ricordo la guerra come se fosse ieri, ma oggi non ci pensiamo, oggi è un giorno di festa...". "Questo qui si ricorda più fatti di me" s' intromise nel discorso un uomo che, a guardarlo bene in viso, non potei avere dubbi su chi fosse, "io mi dimentico un sacco di cose e lui, invece, ha una memoria di ferro" concluse Cosimo, figlio di Antonio, sotto lo sguardo sorridente di Anna, la figlia di sua sorella Rosaria. Ma Cosimo, in verità, dimenticava solo quello che non gli interessava, perché lui aveva la testa fra le nuvole da trent' anni, e volare col deltaplano era la sua gioia infinita, a tal punto che, quando non era in cielo disegnava i suoi voli, e non se lo scordava mica come si fa a spiegare le ali. I fratelli dello sposo erano uomini pratici, di poche parole e nessuna smanceria: Antonio aveva aperto le danze culinarie appena aveva visto che tutti gli invitati erano arrivati, pure se gli sposi ancora non c' erano, e Cosimo aveva guidato la Maserati con a bordo la sposa, e, a fine cerimonia, s' era preso personalmente a cuore la cassetta delle buste regalate a suo fratello e sua cognata. Fra gli amici, tutti belli, sorridenti e abbastanza bevuti, s' era fatto notare uno dai capelli rossi: aveva rubato il bouquet della sposa, quando lei l'aveva lanciato, e, ancora, aveva la piacevole accortezza di prendere 5, 6 calici alla volta e una bottiglia di vino e andare a piantare brindisi con gli altri invitati, anche con quelli conosciuti al momento. Spiccavano fra gli altri tre giovanotti, Emanuele, Mirko e Mariano, che s'erano inventati le cravatte con le facce buffe dello sposo. Insomma, un melting pot ben assortito di amici vecchi e nuovi, nocerini e resto del mondo. Dall’euforica partecipazione dei presenti, si intuiva che Giovanni e Stefania si facevano volere bene.
E lui, poi, c' aveva questa cosa, che faceva bene al cuore a guardarla: Giovanni si preparava all'abbraccio, come un pugile sul ring che si mette in posizione, e poi affondava con tutto il corpo e la testa nell'anima dell'altro. E la sposa, meno espansiva, la stessa cosa la faceva con gli occhi: ti metteva dentro gli occhi suoi e sempre all' essenziale, all' anima, ti portava. La signora Rosanna, la matrona del ristorante in cui Giovanni lavorava prima di trasferirsi a Londra, aspettava quel ragazzone che tanto amava, al suo tavolo, come si aspetta un figlio che sta per partire. Si commuoveva se le chiedevi di lui, era uno dei suoi figli acquisiti; lei, così come suo marito Enzo fino all’ultimo dei suoi giorni, si erano rallegrati del suo passo, della strada che aveva fatto con la sua fidanzata. Fra canzoni, balli e pietanze che non finivano mai, giunse il momento di trasferirsi all' esterno, intorno alla piscina, dove Antonio Salvatore e il suo staff avevano srotolato un tappeto infinito di dolci, che ti riconciliavano col mondo già solo a guardarli e a odorarli.
La festa volgeva al termine, ma la farfalla blu aveva ancora il suo da fare. Mi accompagnò a conoscere i genitori di Stefania, Immacolata e Vincenzo, felici di aver dato la figlia in sposa a un uomo così meraviglioso, e poi mi portò a chiacchierare con Anna, la mamma di Giovanni, la donna volitiva che per suo figlio s'era fatta un bel vestito e s'era messa il suo miglior sorriso sulle labbra, pure se da neanche 3 mesi aveva perso il compagno della sua vita. "Con Giovanni ci sentiamo tutti i giorni. Io preferisco la videochiamata, perché voglio vederlo, ma va bene anche la chiamata normale, oppure un vocale; anche sentire semplicemente la sua voce mi fa stare bene, e menomale che esistono i telefoni, altrimenti non so come farei. Peccato che non gli posso più inviare i generi alimentari; una volta io e mio marito gli abbiamo spedito un carico di 100 chili, con tutte le cose che piacevano a lui e Stefania: parmigiano, salami, panettoni...era il nostro modo di farlo sentire amato". E Giovanni l'aveva sentito, eccome se l’aveva sentito, tutto l'amore dei suoi genitori, perché l'aveva saputo restituire a tutti quelli che aveva incontrato nella sua vita. A sua moglie, prima di tutti, chè mai una donna fu tanto amata da un uomo su questa Terra, e poi agli amici, ai parenti, ai conoscenti. Il matrimonio volgeva al termine nello strepitio in cielo di stelle filanti e coni di luce colorati. Era giunto il momento di accommiatarsi con la bomboniera in mano. Ogni volta che mi voltavo a cercare gli sposi diventavano sempre più piccoli, due puntini luccicanti in un universo grandissimo e nuovo, in cui adesso avrebbero camminato ancora più stretti, con le fedi al dito.
Fu solo allora che realizzai che non c'era più la farfalla blu a indicarmi il
tragitto, dov'era finita? Sorrisi quando mi ricordai dove l'avevo vista l’ultima
volta: fra le trame del vestito di Anna, che aveva lo stesso colore delle sue
ali. Era lì che era sparita, o meglio, era lì che era tornata, a casa sua”.
Fine