“E si
portano dietro quel giorno
sfiorato di
prime tremanti parole,
come amore
alla faccia del mondo,
come l’unica
via per non essere sole
come il sole
all’ inferno,
come un
fiore d’inverno
e l’inizio
di un sogno …” -Due Madri-
Roberto
Vecchioni è tornato a farci sognare. L’8 ottobre è uscito il suo ultimo album:
“Io non appartengo più”. La vera rivoluzione di questo disco, per me, è tutta nella canzone "Due madri".
Si, perché
Vecchioni che racconta poeti, combattenti e grandi donne, lo
conosciamo già. Così come sappiamo che, lungo i suoi anni, ha cantato canzoni
per i figli, per l’amata Daria, per gli amici. Anche a Dio ha urlato parole e preghiere.
Ora, in questa ballata dolcissima, ci ritroviamo, per la prima volta, di fronte ad un Vecchioni
nonno che canta alle nipotine. Nina e
Cloe, le figlie di Francesca Vecchioni e
della sua compagna Alessandra. Lui prova a spiegare alle bambine la loro
eccezionale condizione di avere due madri. E, se da una parte lo fa con la sua
solita incantevole poesia, dall’altra almanacca sulla perdita dei sogni. Si
affida a queste bambine “baciate all’ultimo confine”, come dirà in un’altra
canzone. Son loro che devono prenderlo per mano ora. Indicargli la strada da
percorrere. A lui, uomo di settant’anni, che ha già camminato tanto, non
importa dove lo condurranno. Vuole solo stare con loro. Per me “Due Madri” è l’
autentico testamento amoroso di un nonno che vuole mettere in guardia,
proteggere, se fosse possibile, le sue
nipotine dai “ tanti tamburi di latta
del mondo normale”. Dice delle cose, altre appena le accenna. Come se questo
testo debba essere recepito in due tempi. Una parte è per Nina e Cloe piccole,
un’altra attenderà che crescano. Ci sarà un altro tempo per capire bene cosa
voleva dire quel nonno “un po’ anormale”.
Roberto è un
Uomo. Uno che ci ha messo sempre la faccia nelle cose che ha fatto. Che si è
preso la responsabilità delle sue parole, pure quando erano forti, scomode.
Anche questa volta, racconta le sue emozioni. Avrebbe potuto lasciare
nell’intimità della sua famiglia questa vicenda delicata e bellissima. E invece
no. Lui, come sempre ha fatto, racconta di sé, di ciò che accade nella sua
vita. Non può rimanere in silenzio di fronte alla gioia che queste bambine gli hanno
portato, “alla faccia del mondo”.
Incontro il Professore
lunedì 14 ottobre, alla libreria Feltrinelli di Piazza dei Martiri a Napoli. E’ qui per
presentare il disco “Io non appartengo più”. Disco che sto bevendo a grandi
sorsate da una settimana, ma la mia sete non passa. Neanche un po’. Mi sveglio
felice, quando so che quello appena iniziato è un giorno in cui lo incontrerò.
Perché, il Professore, io lo incontro spesso. Fa bene al cuore mio sentirlo
cantare live. E parlare. Mi ha insegnato tante cose in questi anni!Lo ho visto
l’ultima volta a luglio. Un concerto a Montemiletto, Irpinia. Si, ma a me non basta godere della sua musica
e delle sue parole dal palco. Io, ogni volta, cerco di parlargli prima o dopo
il concerto. Ho sempre per lui qualche lettera d’amore, qualcosa da chiedergli,
una foto “col sorriso deficiente” da aggiungere alle altre che abbiamo già fatto
in questi otto anni, in cui lui è entrato nella mia vita, per non uscirne più.
Oggi, poi,
sono più emozionata del solito perché ci sono queste canzoni nuove che mi riempiono
la testa. E, fra un po’, potrò sentire proprio dalla sua voce, cosa c’è dentro
e dietro ad ognuno di questi nuovi brani. Io e mio marito Christian arriviamo che
la sala è già piena, ma succede che si
liberano due posti proprio sotto i nostri occhi. Appena, però, mi rendo conto
che da quella posizione non riesco a vedere la sua faccia, lascio perdere la
sedia e mi vado ad infilare più avanti, per terra, lungo lo stretto corridoio
che porta alla cattedra. E chissenefrega se in quella posizione ci son solo
adolescenti invaghite. A dirigere l’incontro c’è il giornalista de “Il Mattino”
Federico Vacalebre, grande ammiratore di Vecchioni. E’ felice di parlare di queste
canzoni. Di questa “figlia” diventata madre. Dice che gli piacerebbe che oggi
suo figlio, attraverso Roberto e la sua canzone “Ho conosciuto il dolore”, si
avvicinasse a Montale. Come lui, tanti anni fa, per una sua canzone intitolata “A.
R.” , ha scoperto Arthur Rimbaud. Qualcuno ha parlato di questo album come di
un soliloquio davanti alla morte. –Invece c’è tanta gioia e tanta vita in
queste canzoni- afferma Roberto. E io,
che l’album l’ho già ascoltato bene, son d’accordo con lui. Questi testi sono
carichi di gioia, di serenità, di emozioni positive. Anche quando parla con
Dio, con la Morte, io non ho avvertito sentimenti negativi. Nessun rimpianto,
neanche un rimorso. Come se, dall’alto dei suoi anni e della sua storia, l’autore
fosse in grado di un sguardo d’insieme sulla vita e sui fatti. Pure quando
parla al Dolore, mi è arrivata consapevolezza più che rabbia. “Ho conosciuto il
dolore ed ho avuto pietà di lui, della sua solitudine, delle sue dita da ragno,
di essere condannato al suo mestiere, condannato al suo dolore … “.
Emblematica
la copertina: Roberto è ancora un combattente, un boxeur, ma è solo al centro
del ring. In poltrona, coi suoi libri. E lo sguardo interrogativo rivolto a Dio.
Ho scoperto questo
meraviglioso cantautore un pomeriggio d’inverno di quasi otto anni fa. Era il
24 gennaio. Me lo ricordo bene, era il giorno del primo compleanno di mio figlio
Lorenzo. E io stavo cucinando a più non posso per la grande festa che avremmo
fatto quella sera a casa nostra. Christian mi aveva regalato il suo album “Il
lanciatore di coltelli” . Infilai il cd nel lettore. Con un semplice, piccolo gesto,
entrai dentro un mondo vibrante di emozioni. Di poesia. Di storie. Anche
tristi, ma di una tristezza deliziosa
(Vedi –Gustav e Tadzio- ). Fino a quel momento io, di Vecchioni, conoscevo solo
“Le lettere d’amore” . Canzone che ha avuto due grandi meriti nella mia vita:
farmi conoscere Fernando Pessoa e ancora farmi capire che non ero sola e non
ero ridicola con le mie lettere d’amore. Anzi, che avrei dovuto continuare a
scriverle. E a proteggerle come il mio bene più prezioso. E’ ancora la mia
canzone preferita. “ E scrivere d’amore, e scrivere d’amore anche se si fa
ridere, anche quando la guardi, anche mentre la perdi quello che conta è
scrivere; e non aver paura non aver mai paura di essere ridicoli; solo chi non
ha scritto mai lettere d’amore, fa veramente ridere …”.
Il Professore
è in gran forma. Dice che questa energia gliel’ha data proprio il nuovo disco.
E, nonostante sia stato per almeno due mesi rinchiuso in sala registrazione,
fra le sue carte, beh, quando ha terminato il suo lavoro, una felicità piena l’ha
travolto. – Però ci ho rimesso sette, otto chili. E per me sono tanti. Perché io, giusto quello
peso!- Dice.
Si parte con
“Esodo” e si conclude con “Io non appartengo più”.
E’ un
concept album.
“Io sono là,
dove è
sempre stato l’uomo,
viaggiatore
vincente
del suo
dolore,
nel teatro
dove non recita,
ma vive le
parole …
… sono nelle
parole che
Non
risolvono il giorno,
ma
l’eternità …”
Ecco, il
disco parte altissimo. Con la poesia e la musicalità antica delle parole greche
(ritornello). Vecchioni ci porta al
momento in cui l’Edipo di Sofocle sta morendo. Dio lo sta chiamando a sé. Edipo
è pronto, consapevole. Vecchioni si identifica in lui. Dopo cinquant’anni di
canzoni e parole, si tira fuori da “questo inventario di suppellettili”. Oggi
appartiene solo a se stesso. Alla sua famiglia. Agli amici. Alla poesia.
Gli uomini
sono sempre al centro dei suoi madrigali. E pure quando la loro meschinità lo
fa arrabbiare, pure quando gli grida contro, non sa smettere di amarli. Anzi,
le donne più che gli uomini in senso lato. Vecchioni è un uomo che ama le
donne. Che guarda a loro come essere straordinari. “Le mie ragazze”, che negli
anni son diventate “Le mie donne”. Si, quelle che “Non hanno prezzo e non si
vendono, si regalano per molto meno e molto più”. E son tante le canzoni
dedicate alle donne. Sia quelle della sua vita, sia quelle famose come Alda
Merini, Celia de la Serna, Rosa Luxemburg, Wislawa Szymborska premio Nobel per
la letteratura nel 1996. Donne straordinarie e donne comuni. Tutte con la
stessa grande capacità di amare. Di trovare bellezza anche dove gli uomini
(questa volta in senso stretto), non riescono a vederla. “La bellezza (Gustav e
Tadzio)” che aveva cantato ispirandosi a
“La morte a Venezia” di Thomas Mann. La bellezza a cui sembra rivolgersi anche
nella canzone “Sei nel mio cuore” .
In ”Il
Miracolo segreto” il riferimento al racconto di Borges (che ha lo stesso
titolo) è manifesto. In questa canzone l’autore vorrebbe, nel momento preciso in
cui la vita finisce, ricevere un dono da Dio: un anno di tempo. “… per tornare ancora indietro, ritrovare le
cose che ho lasciato chissà dove, dammi un anno di tempo per riscrivere parole
… non ti chiedo di continuare a vivere e ad amare, non ti chiedo di stringere
chi mi son visto andare, ma solamente il tempo per potere ricordare …” . Il
Professore è spesso faccia a faccia con la morte. Forse c’entra “Il brigante
nell’angolo, nascosto, vigliacco, battuto tumore” in questo continuo confrontarsi
con la fine. D’altronde son voli che il nostro Roberto ha sempre fatto. Si
pensi a “Viola d’inverno”. A “Mi porterò”. In “Così si va” la vita che scivola via
conserva tutto il suo incanto. E’ miele e non vetro nella bocca di un uomo
ancora innamorato ed emozionato. C’è la consapevolezza di aver avuto giorni pieni
e meravigliosi. “Ci si innamora dell’amore e non si torna indietro mai, ci si
innamora dell’amore il solo disperato vivere che hai, ci si innamora dell’amore
cantando voci in un silenzio, dolce impigliato sentimento in questa mia
felicità …”.
La canzone
“Stelle” mi fa pensare subito ad un’altra sua canzone: la già citata “ Le lettere
d’amore”. “Ma gli sfuggì che il senso delle stelle non è quello di un uomo e si
rivide nella pena di quel brillare inutile, di quel brillar lontano …” . Come a
ricordare, ancora una volta, che gli uomini devono mettere i sentimenti al
centro della loro vita. E non perdersi in astrazioni e teoremi. E non
dimenticare mai che, per quanto brillino, le stelle non scaldano. Sono gli
abbracci, i corpi che danno calore.
“Come fai?”
scritta a quattro mani col mio adorato Giuliano Sangiorgi, mi colpisce prima
per la musica (di Lucio Fabbri)e poi per le parole. Le note sono soavi,
farfalle che si posano sul viso. Ci si interroga sulla grandezza di Dio. “Come
fai/A camminare il mio pensiero?/Come fai a essere in ogni parte di mondo che
non ha terra/ e nemmeno cielo?... Essere sempre Amore?”.
Sono partita con “Due madri” e termino con “Sui
ricordi”.
Le mie due
canzoni preferite in questo disco.
–Non me ne volere Professore mio, se ho
rivoluzionato la playlist, il concept.
Il cerchio magico della tua vita si apre e si
chiude (per me) dentro la tua famiglia-
“Ricorda
quando ti ho perduto,
ricorda
quando son caduto,
ricorda
quando mi hai tenuto
appeso al
mondo con un dito
Ricorda la
teoria di stelle
Su e giù
impazzite per la pelle
Quando ero
nulla e mi sfioravi,
quando eri
tanto e mi sognavi, mi sognavi”.
Eh si, Roberto
vuole decidere proprio tutto della sua vita!
Vorrebbe che
Daria, sua moglie, lo ricordasse per come è veramente. La tenerezza. Le idee.
La forza e tutte le fragilità. Senza trasfigurarlo come faranno gli altri. Senza idealizzarlo, dimenticando “tutte le
manie di quel cialtrone che io sono, le indecifrabili ironie che non ho chiesto
mai perdono … “ .
L’incontro
sta per concludersi. Roberto ha ascoltato tutti con grande interesse. E’
luminoso, almeno quanto le sue stelle. Due sono gli interventi che mi hanno emozionano
più di tutti: quello di Peppino che dice di essere qui oggi, ma non ha domande
da fargli, perché nel tempo lui gli ha già dato tutte le risposte che cercava. Vuole
solo abbracciarlo. Per tutta la vita ha ascoltato le sue parole, ora vuole
sentire il calore del suo corpo. E poi c’è un ragazzo ventenne, biondo, con una
maglietta con la faccia di Fabrizio De Andrè, che gli vuole far sapere che lui,
il Professore, è molto amato anche dalla sua generazione. Anche se sono piccoli
e lo conoscono da poco.
Io gli dico
che scriverò di questo album. Gli chiedo se posso usare una foto che ci siamo
fatti qualche anno prima, visto che oggi le foto non le farà, lui mi dice di
sì.
- Si, se sono
venuto bene in quella foto, non ci sono problemi!-
Anche stavolta
ho qualcosa da dargli: una canzone.
Con un
incredibile atto di superbia mi sono messa nei panni di un artista che, per
tutta la sua vita, ha trasfigurato gli uomini, reinventandone a volte il
destino, come in Euridice. Con mio grande stupore, esce dall’ingresso
principale della Feltrinelli. Mi passa accanto mentre cerco un libro.
Quest’uomo col sigaro in bocca è candidato al Premio Nobel per la letteratura e
non ci sono folle ad attenderlo mentre se ne va. Sarà che la poesia è veramente
un bene per pochi.
Questo racconto è stato pubblicato sul numero 48 di "Confidenze fra amiche".
Poi è stato condiviso sulla pagina ufficiale di Roberto Vecchioni.
Con mia grande gioia!
Con mia grande gioia!
Meraviglioso articolo scritto con le parole del cuore! Grazie sempre!
RispondiEliminaMerigreis, solo quando scriviamo col cuore, arriviamo a chi ci legge, secondo me. Ti abbraccio e si, Merigreis è proprio bello :))
Eliminabrava giovanna mia <3
RispondiEliminaCara Do, ti ringrazio, è stato piacere puro per me parlare del Professore e delle sue canzoni! Un abbraccio, a presto :))
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